Filmare la violenza

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Filmare la violenza

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giovedì 01 Settembre 2022 - 14:46

Nel nostro “qui” e “ora”, pare che per molti – moltissimi – di noi il rapporto con i “fatti” – gli eventi nella loro cruda “datità” – sia diventato problematico. È una condizione trasversale, ma che emerge palesemente di fronte ad alcune classi di accadimenti, quelle ad altissimo tasso emotivo. Di fatto, filmiamo e condividiamo – e irreprensibilmente desideriamo farlo – stupri e omicidi.

Nel nostro mondo occidentale – che in un recente libro ho chiamato, appunto, Paese dei ciechi – esiste un’enorme necessità di soddisfare la “vista”. Essa è il primo senso in assoluto. Questo perché le grandi trasformazioni della nostra età, quelle che sono inscritte nell’arco semantico che va dal concetto di Globalizzazione a quello di Società liquida, riguardano con fortissima priorità l’asse dimensionale dello Spazio.

L’espansione generalizzata della logica della Rete, e primariamente nella forma della “Rete digitale”, ha provocato un allargamento esplosivo del nostro mondo esistenziale. Ogni cosa può essere “ovunque”, “in qualsiasi momento”. Merci, persone, scambi e transizioni costituiscono il livello basilare dei flussi globali. Su di essi continua incessantemente a crescere la nube delle tracce esistenziali: recensioni, commenti, ordini, ricerche, amicizie, tracciano connessioni che attraversano il globo rimbalzando da un punto a un altro, da un livello a un altro.

Il linguaggio di questa Rete è, indubitabilmente, l’immagine. Riquadri visivi operano a tutti i livelli, dall’Icona al Selfie, infinitamente riproducendosi, modificandosi, ibridandosi. Essi sono ritagli digitali di Spazio: la loro infinita riproducibilità corrisponde all’infinita possibilità espansiva dello Spazio esistenziale.

Si osservi questo: si tratta una incommensurabile moltiplicazione dimensionale, tale da annullare quasi paradossalmente la “distanza”. Nel mondo della Rete “tutto” – un “tutto” così grande da non essere cartografabile – è anche “vicino”, a portata di dito. “Tutto” può stare dentro quella tavoletta – disse già Farinelli – che sta sempre nelle nostre tasche, addosso a noi: lo smartphone.

In tale situazione, mi pare evidente, “vedere” con chiarezza i fatti non è cosa da poco. Vivere costantemente irrorati da un getto di immagini, consapevoli che fiumi carsici di dati scorrono non visti sopra e sotto di noi, abbaglia e erode la “distanza” che serve a comprendere – razionalmente – l’insieme. Se da piazzale Michelangelo osserviamo Firenze, sappiamo già che non sapremo cogliere il complesso delle linee di forza che si intersecano in quel sistema territoriale, molto differentemente da quel che accadeva per il viaggiatore rinascimentale che poteva rintracciare con lo sguardo simboli e significati nei i nessi fra campanili, palazzi, mura, strade.

Inaspettatamente però, sembra che da “dentro” il mondo dell’immagine digitale il soggetto occidentale abbia trovato una via “corsara” di adattamento e resilienza. L’uso, lontanissimo dalle riflessioni teoriche (similmente a quel che si rilevato nello studio del linguaggio) ha scoperto che la stessa picture ha un potere di auto-mitigazione. E questo diviene più spiegabile se avviciniamo la sfera soggettiva: quando un uomo, armato di telefonino, filma o fotografa, “filtra” la complessità del reale. Focalizza e mentre lo fa “esclude”; formalizza quindi una scheggia di realtà rendendola stabile e comprensibile.

Stabilità e comprensibilità hanno certamente un effetto rassicurante e consolatorio, in un mondo che è contemporaneamente extra-esteso e super-prossimale. Perciò l’immagine digitale diventa un buon “mediatore” tra il soggetto e la realtà.

Assistere a un omicidio, in un giorno qualsiasi, per le strade di Civitanova Marche, o a uno stupro a Piacenza, è un evento traumatizzante. Il gesto semi-automatico di filmare risponde alla necessità di difesa, allontanamento, esorcizzazione. Il filmato è un mediatore che immediatamente si frappone fra l’io e la realtà traumatizzante.

Emerge, è chiaro, una domanda: reazioni come queste sono sempre “civilmente” accettabili? Chi filma sta facendo qualcosa di utile o si sottrae all’Etica “umana” che vuole che si intervenga in difesa della vita e della dignità? Internet trasborda di violenza filmata, condivisa, pure a volte musicata, derisa, trasformata in ludus di pochi secondi da far filtrare attraverso le chat. Stiamo degradando da “cittadini” a “spettatori” della realtà?

Mi ritorna in mente l’azzeccatissima formula di Stefano Boni per portare queste domande anche sul piano antropologico: stiamo diventando Homines Comfort?

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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