Contro Lagalla torna in campo la vecchia categoria della superiorità morale della sinistra? Oppure i vecchi padroni si sono ripresi Palermo? Questo il dilemma della stampa, in salsa rosa, oggi.
Come è possibile – uno ci prova a pensare ad alta voce – che Lagalla, già professore ordinario a Medicina, a Palermo, già Rettore magnifico dell’ateneo palermitano, oltre che già Assessore regionale, a Palermo, di colpo sia identificato, allorché vince come sindaco di Palermo, come un pericolo di ritorno al passato, come una macchia nella bella primavera panormita, come un corvo nero tra corvi tutti bianchi? Perché prima era un professionista stimato, o addirittura un Rettore acclamato?
Questa domanda è pleonastica evidentemente, ma segue un filo di ragionamento… Ho cercato articoli on line. Nulla c’è sul suo ordinariato palermitano. Più di 450 pubblicazioni scientifiche, una nascita pugliese e tante nomine prestigiose. Nella selva di concorsi truccati, Lagalla non ha lo stesso cognome di altri baroni. Nulla di oscuro, quindi… Nulla sulla sua elezione a Rettore. Nulla di perverso. Anzi qualche laude, pure a sinistra. Non ho letto frasi come quelle odierne neanche sulla sua designazione ad Assessore regionale. Che è politica e, si sa, la politica trasforma tutto in quel che le serve al momento.
Quindi? Perché Lagalla, scienziato, rettore, assessore, può fare un po’ quel che gli pare, senza che il maglio morale sinistro gli si abbatta contro, ma se prova a fare il sindaco a Palermo con un centro destra troppo unito, diventa la bandiera del male?
Cuffaro e Dell’Utri? Sarebbero dovuti essere più degli autogoal per un candidato che ha preso tanto, nel poco che ha votato, ma un po’ meno delle sue liste. Eppure, adesso lo spauracchio che chi ha formato tutti i radiologi e radioterapisti di mezza Sicilia negli ultimi venti anni, di chi ha diretto la rotta della Università Palermitana, diventi un fautore del male, con la irrefrenabile invocazione al pericolo che la mafia torni su Palermo, urla il prima pagina.
L’elettore cambia. Pur restando lo stesso. Quello che acclama Conte, “lu papá di lu reddito” vota in modo difforme. Bagni di folla non corrispondono più a voti. Come se il reality della politica si fosse ormai scisso dal consenso concreto. Andare a vedere la star Conte non significa votarla. Ma, appunto, guardarla. Come andare alla processione non significa essere cattolici.
Ecco, quindi, come Lagalla, che i bagni di folla non li ha avuti, abbia vinto. E come l’asse PD-5 Stelle abbia perso. E quando si perde, di solito si riflette. Non si trova la trave solo nell’occhio dell’altro. Magari si prova a cercare la pagliuzza anche nel proprio.
Invece, anche stavolta, più che capire, la mia ex amata sinistra, sempre più grillista, prova ad inveire. Da qualche anno, quando a sinistra si perde, e non si sblocca presto l’opzione “come governare senza vincere”, allora, comincia il tritacarne delle ombre. E noi il tritacarne in Sicilia lo conosciamo sin da Claudio Martelli e Giovanni Falcone. Da Mattarella fino alle mascariate recenti su Antoci.
Sarebbe invece tempo di riflessione. Perché Totò e Marcello saranno un problema etico di Lagalla qualora il magnifico concederà non ai due uomini, ma a istanze maligne, spazio e tempo. Per ora sono due compagni di viaggio, che sicuramente, pagato il debito con la giustizia, possono tornare a dire la loro. Dannazione eterna il codice non ne prevede. Certo, io non ci farei un partito insieme. Ma quel che dicono, se maligno, va contrastato con la voce e con l’esempio. Non ricordando Crocetta, insomma. Né evocando spettri.
Però resta amaro il sapore, per chi ha il cuore mancino, del calderone di chi, perde, non capisce, e aizza subito il cane del male assoluto. Quel cane era a cuccia in Università e alla Regione. Come mai?
L’ombra in Sicilia è un riflesso della luce. Non viceversa. Vero. Però i politici smettano di tirare la giacca degli eroi veri e dei martiri veri, quando gli ê sfilata da sotto il culo la poltrona. Nessuno ha più patenti di superiorità, e la sinistra avrebbe potuto costruire templi e corsie dopo Orlando. Invece ha come sempre demolito, buttando l’acqua sporca col bambino, perdendosi in piccole faide. Così facendo non restano che le ombre, e la loro macabra insinuazione. Che non fa bene alla Sicilia, mai. Proprio mai.
Giacomo Bonagiuso
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Personalmente, non ho elementi concreti per ritenere che Roberto Lagalla non sia un galantuomo. Tuttavia, ritengo che – in Sicilia più che altrove – chi si candida a gestire la pubblica amministrazione abbia il dovere di essere anche piuttosto selettivo nella scelta dei compagni di viaggio. Nessuna dannazione, dunque, per Cuffaro e Dell’Utri, che hanno già scontato le pene loro inflitte dall’autorità giudiziaria. Tuttavia, riportarli al ruolo di interlocutori politici come se nulla fosse accaduto mi pare un preoccupante passo indietro per la politica siciliana, che ha la necessità di donne e uomini capaci di gestire il bene comune con disciplina, onore (e un pizzico di fantasia che non guasta mai). Quanto alla sinistra, area politica in cui ostinatamente continuo a riconoscermi, constato anch’io con amarezza che quando pensa di vincere promette massimi sistemi e grandi prospettive di sviluppo, riuscendo a trovare le ragioni dell’unità di coalizione, mentre quando sa di perdere, agita lo spettro della questione morale (che c’è e ci sarà ancora, ma va affrontata in maniera diversa) e si abbandona alla frammentazione nel nome di un ormai consueto “tanto peggio, tanto meglio” che serve solo ad alimentare la frustrazione del suo elettorato e la visibilità di qualche personaggio di second’ordine a cui, in fin dei conti, sta bene così. Non so ne ne usciremo mai. Di certo c’è che scoramento e disincanto sono, sempre più, gli abituali compagni di viaggio di una vasta fetta dell’area progressista siciliana. Tuttavia, come disse saggiamente Sciascia, benchè la Sicilia sia una terra irredimibile, ritengo che l’unica possibilità di salvezza stia nel continuare a pensare ed agire come se non lo fosse.
Vincenzo Figlioli