Lilla e Nicola Di Bartolo sono stati gli unici imputati ad avere consentito di essere ascoltati dinanzi al tribunale di Trapani. A fine udienza, il collegio dei giudici si è ritirato in camera di consiglio per emettere, poi, una sentenza di improcedibilità nei confronti di Felice Buccellato, vista la sua condizione di incapacità di intendere e volere, dichiarata dai medici irreversibile e che, pertanto, non gli consentirebbe di partecipare al processo.
Si è svolto nella mattinata di lunedì l’esame della difesa dei fratelli Lilla e Nicola Di Bartolo, imputati nell’ambito del cosiddetto processo Cutrara, scaturito dall’operazione antimafia del 2020, insieme a Francesco Domingo, considerato attuale reggente di Castellammare del Golfo, Felice Buccellato, Rosario Antonino Di Stefano e Salvatore Labita. I Di Bartolo, dunque, sono stati gli unici ad avere consentito di essere ascoltati dinanzi al tribunale di Trapani. Nell’Aula Bunker del Palazzo di Giustizia è stato innanzitutto sentito Nicola Di Bartolo. Interrogato dal suo avvocato, Alessandro Pergolizzi, ha risposto dapprima in merito alla vicenda della tentata estorsione nei confronti di Giuseppe (padre) e Pietro (figlio) Di Bona. In particolare, l’imputato ha riferito sul suo coinvolgimento per risolvere i dissidi, sorti a seguito di una vertenza sindacale, tra i Di Bona e il suo amico, John Saccheri, titolare di una pescheria a Castellammare. Nel novembre del 2019, dopo avere svolto una tournée musicale negli Usa con la sua associazione, all’interno della quale ricopriva la carica di presidente, avrebbe incontrato l’amico per portargli i saluti dal fratello, residente negli States. Il Saccheri lo avrebbe messo a conoscenza di una lettera del sindacato che lo invitava a procedere all’assunzione di Pietro Di Bona. Secondo il racconto dell’amico, il ragazzo avrebbe lavorato alle sue dipendenze soltanto per tre mesi e quindi avrebbe proposto, per risolvere la questione, un compenso di 500 euro. A metà novembre John Saccheri lo avrebbe contattato per metterlo al corrente di voler addivenire ad un’intesa con la parte avversa per 1200 euro e per mezzo di un consulente, Michele Castiglione. Nel mese di dicembre, Nicola Di Bartolo sarebbe poi andato a trovare l’amico in pescheria per accertarsi della sua malattia, di cui l’avrebbe messo al corrente nel primo incontro svoltosi al ritorno dalla tournée americana. Il Saccheri, quindi, gli avrebbe dato delle delucidazioni in merito alla situazione con i Di Bona. Gli avrebbe raccontato di aver raggiunto un accordo per 2300 euro, ma non si sarebbe trovato nelle condizioni economiche di pagare in quel momento. Pertanto, avrebbe emesso tre titoli a scadenza. In un primo momento, i Di Bona avrebbero acconsentito a tale proposta, ma poi non avrebbero rilasciato la firma per la liberatoria, richiedendo tutto il pagamento subito. Nicola Di Bartolo avrebbe sostenuto delle spese per la sua tournée e non avrebbe potuto aiutare l’amico economicamente. Quindi, si sarebbe proposto per parlare con i Di Bona. A metà dicembre, il Saccheri gli avrebbe chiesto un riscontro sulla sua iniziativa. Si sarebbe pertanto prefisso di andare a cercare Giuseppe Di Bona, uscendo dalla comunità alloggio Madre Teresa. Il 16 o 17 dicembre 2019, presso la casa di riposa, sarebbe andato a far visita alla sorella Lilla, affetta da una psoriasi aggressiva, Francesco Domingo. Con questi sarebbe stato legato da un’amicizia trentennale. La famiglia dei Di Bartolo, in passato titolari di un bar nella località marina, aveva infatti dei rapporti con quella dei Di Graziano, suoceri di Domingo. Francesco Domingo, ha raccontato l’imputato, avrebbe provato un affetto fraterno nei confronti della sorella. Dunque, il capomafia, il quale sarebbe andato a trovare nella comunità alloggio per anziani anche una sua zia, gli avrebbe chiesto quel giorno un passaggio per tornare a casa. Il Di Bartolo gli avrebbe risposto che non poteva perché doveva cercare Giuseppe Di Bona. Il reggente di Castellammare gli avrebbe detto che quest’ultimo era un amico suo e, dunque, gli avrebbe proposto di andare a cercarlo insieme. In detta giornata, comunque, la ricerca del Di Bona non avrebbe avuto buon esito. L’indomani Francesco Domingo gli avrebbe chiesto se avesse avuto la possibilità di rintracciarlo prestandosi di accompagnarlo per evitare che il Di Bartolo potesse avere qualche defaillance. Avrebbe temuto, secondo il racconto dell’imputato, che non fosse nelle condizioni di chiedere un accordo con gentilezza. Nicola Di Bartolo, poi, avrebbe trovato il numero per contattare Giuseppe Di Bona il 18 dicembre del 2019, ma soltanto il 21 dicembre sarebbe riuscito a raggiungerlo telefonicamente. Pertanto si sarebbe stabilito l’incontro, poi avvenuto al bar Tropical, al quale Nicola Di Bartolo si sarebbe presentato in compagnia del Domingo. Il capomafia si sarebbe scambiato un saluto caloroso con Giuseppe di Bona. Il Di Bartolo gli avrebbe voluto parlare di Gianni (John ndr), ma il Di Bona avrebbe cambiato atteggiamento, chiedendo due assegni: uno subito e l’altro da incassare successivamente. A questo punto sarebbe intervenuto Francesco Domingo, concordando la cifra: 2500. Dopo sarebbero andati via perché il loro interlocutore sarebbe andato in escandescenza. L’indomani si sarebbe poi svolto l’incontro con il Saccheri per raccontargli quanto accaduto. In un primo momento, l’amico avrebbe detto al Di Bartolo di essere favorevole all’accordo raggiunto al Tropical, ma il 23 dicembre avrebbe iniziato ad essere tartassato da Giuseppe Di Bona, il quale gli avrebbe detto “Siamo sicuri che questo mi paga?”. Pertanto, Nicola Di Bartolo avrebbe chiamato l’amico per sapere quanto accaduto, apprendendo che la promessa non sarebbe stata mantenuta. Infatti, quando il Di Bona si sarebbe recato dal consulente avrebbe trovato quattro assegni. Lo avrebbe anche minacciato al telefono: “Io conosco gente che pozzu rovinare quannu ricu io”. Poi l’intesa sarebbe stata raggiunta con l’accettazione di tre assegni. Per Nicola Di Bartolo, Francesco Domingo non si sarebbe più interessato alla vicenda e la sua presenza all’incontro al bar Tropical dovrebbe considerarsi causale.
Altro argomento affrontato dal legale di Nicola Di Bartolo è stato quello relativo all’accusa di essere socio occulto, insieme a Francesco Domingo, della ditta di sua sorella. Rispondendo al suo difensore il Di Bartolo ha confermato di aver detenuto informalmente il 25% delle quote della citata società. Inoltre, l’imputato ha spiegato che dopo l’interruzione di un rapporto di lavoro con una multinazionale, sarebbe stato destinatario da parte del padre di una proprietà. Per agevolare la sorella, che allora avrebbe vissuto in una casa in affitto, avrebbe deciso di regalarle il secondo piano dello stabile ricevuto in donazione. Lilla Di Bartolo, in seguito, gli avrebbe chiesto di vendergli l’appartamento per poterlo lasciare un giorno all’unica figlia. Il Di Bartolo, in cambio di un prezzo calmierato della vendita, le avrebbe proposto di entrare nella summenzionata società. L’imputato ha escluso categoricamente il coinvolgimento del Domingo nella società della sorella.
Per quanto riguarda, invece, la questione dell’assegnazione dell’immobile dell’Ipab Regina Elena, e per la quale Francesco Domingo si sarebbe incontrato con il sindaco di Castellammare, Nicolò Rizzo, il Di Bartolo ha spiegato che detta vicenda avrebbe avuto una genesi più antica. Sarebbe sostanzialmente sorta quando era ancora in carica il sindaco Nicola Coppola, nel 2017. La sorella avrebbe iniziato allora ad avere problemi con i condomini dell’edificio dove si trovava la comunità per anziani. E, dunque, sarebbe maturata l’esigenza di trovare una struttura indipendente. Un socio di Nicola Di Bartolo gli avrebbe suggerito di rivolgersi all’allora commissario dell’Ipab Vincenzo Reitano perché avrebbe avuto necessità di affittare l’edificio in questione e che prima avrebbe ospitato i rifugiati dalla Libia. Il commissario gli avrebbe detto di presentare i documenti necessari, ma poi sarebbe stato destituito per svolgere il suo ruolo in un altro comune. Quindi la trattativa per l’acquisizione si sarebbe bloccata perché non avrebbe potuto firmare il contratto. Il suo successore, il commissario Leonardo Militello, non avrebbe tenuto conto della summenzionata proposta. Pertanto, gli avrebbe detto di presentare una manifestazione di interesse pubblica, ma anche lui, dopo un mese, sarebbe stato sollevato dall’ incarico. A questo punto, Nicola Di Bartolo si sarebbe rivolto al consigliere comunale Giuseppe Cruciata e al sindaco di Castellammare. Il Di Bartolo ha raccontato che il presidente della Regione Rosario Crocetta avrebbe portato avanti la proposta secondo la quale gli enti locali avrebbero dovuto accollarsi i debiti delle opere pie e, quindi, gli amministratori comunali non avrebbero potuto aiutarlo. Una volta nominato commissario straordinario dell’Ipab regina Elena Vito Vanella, avrebbe avuto con lo stesso un incontro a Calatafimi-Segesta nel corso del quale gli avrebbe detto che in quel momento non accettava alcuna proposta. Alla fine non gli sarebbe stato assegnato alcun immobile. Controesaminato dalla dottoressa Francesca Dessì, sostituto procuratore della DDA di Palermo, Nicola Di Bartolo ha dichiarato che era a conoscenza della condanna per associazione mafiosa di Francesco Domingo. In merito alle minacce subite dal Di Bona, invece, ha riferito di non aver esporto alcuna denuncia perché non sarebbero state rivolte a lui, ma di non averle comunicate neanche all’amico John Saccheri. Rispondendo al legale di Domingo, l’avvocato Giuseppina Cataldo, l’imputato ha detto che non sono state consegnate somme al suo assistito relativamente alla vicenda della comunità alloggio Madre Teresa. Anche il presidente del collegio dei giudici, il dottore Enzo Agate, ha chiesto a Nicola Di Bartolo dei chiarimenti in merito al coinvolgimento del reggente di Castellammare del Golfo nell’episodio a danno dei Di Bona. Per Nicola Di Bartolo, Domingo non avrebbe avuto degli interessi specifici. L’esigenza di partecipare all’incontro sarebbe nata perché Giuseppe Di Bona gli avrebbe potuto anche alzare le mani. Il Di Bartolo avrebbe, però, temuto che questi potesse utilizzare contro di lui la presenza di Domingo. “Come se mi fossi presentato chissà con chi, tanto che mi trovo seduto qua” ha detto. ( i Di Bona si sono costituiti parte civile nel processo ndr).
Dopo è stata sentita Lilla Di Bartolo. Anche lei è assistita dall’avvocato Alessandro Pergolizzi. Al suo legale, rispondendo ai quesiti, ha confermato quanto detto dal fratello, ovvero che i suoi familiari sarebbero stati intimi amici dei genitori della moglie di Francesco Domingo. Ha inoltre riferito che il Domingo sarebbe stata l’unica figura maschile con la quale si sarebbe nel tempo confrontata. Ha escluso che il capomafia sia stato socio occulto della sua ditta. Dal 2010 è titolare della comunità alloggio Madre Teresa, sita in via Goldoni a Castellammare del Golfo in un appartamento in locazione all’interno di un condominio. L’immobile che le è stato affidato è stato venduto all’asta. Per tale motivo, sarebbe stata accusata delle sue condomini, le sorelle Buscemi, di esserne stata la causa. Per quanto riguarda la denuncia sporta nei suoi confronti, ha dichiarato di avere appreso successivamente dell’interessamento di Francesco Domingo, al quale non avrebbe mai chiesto un intervento in suo favore. Solo in seguito avrebbe capito che lo stesso avrebbe parlato della questione con Sorrentino, marito di Elena Buscemi. Poi, ha raccontato che nel corso della sua attività avrebbe presentato circa 10 manifestazioni di interesse per cercare di acquisire un altro immobile. In seguito, ha spiegato la genesi della vicenda della struttura di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Blunda. Lilla Di Bartolo avrebbe raccontato al Domingo di aver incontrato l’imprenditore una mattina al bar, il quale le avrebbe detto che per l’affitto del suo immobile richiedeva 40 mila euro, ma le ristrutturazioni interne sarebbero dovute essere a suo carico. Inoltre, la struttura sarebbe stata compatibile come RSA, con soltanto 20 posti. Francesco Domingo, quindi, le avrebbe suggerito di domandare all’imprenditore di abbassare la richiesta d’affitto. Parlando con il geometra Antonino De Felice, in possesso della planimetria dello stabile, gli avrebbe poi riferito che il reggente di Castellammare del Golfo avrebbe voluto partecipare all’incontro che si sarebbe dovuto svolgere all’interno del suo studio, anche per discutere delle questioni che avrebbero riguardato il figlio, Vito Domingo. Lilla Di Bartolo ha poi aggiunto che l’intromissione di Francesco Domingo nelle sue vicende sarebbe diventata un po’ pesante. Lo avrebbe considerato come una sorta di fratello maggiore, il quale si sarebbe interessato a qualsiasi cosa la riguardasse. Il reggente si sarebbe recato spesso alla casa di riposo Madre Teresa fino a quando la Di Bartolo, a seguito delle minacce che avrebbe ricevuto dai signori Buscemi e dell’installazione delle telecamere, gli avrebbe detto di non recarsi più sul luogo. Dopo si è svolto il controesame del pubblico ministero. La dottoressa Dessì ha chiesto all’imputata se fosse a conoscenza delle condanne per mafia di Domingo e della moglie. Lilla Di Bartolo ha risposto affermativamente. Poi sono intervenuti i legali di Domingo, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Giuseppina Cataldo. Al primo, l’imputa ha precisato di non avere mai ricevuto delle somme dal capomafia per lo svolgimento della sua attività. Inoltre, gli anziani segnalati da Francesco Domingo non si sarebbero mai recati presso la comunità alloggio e, per questo motivo, l’avrebbe mandata anche a quel paese. All’avvocato Cataldo ha spiegato, invece, di aver assistito la mamma del capomafia, Anna Bosco, ma quando Domingo si trovava in libertà. In più avrebbe prestato anche assistenza al padre. Il giudice Agate, poi, ha chiesto all’imputata per quale motivo Francesco Domingo si recava così spesso da lei dal momento che questa intromissione le dava fastidio. Lilla Di Bartolo ha affermato “Perché sono una persona sola”, aggiungendo “Noi parlavamo di tutto”. Lunedì il tribunale ha anche accolto la richiesta del sostituto procuratore, disponendo il riascolto da parte del perito Roberto Genovese di una conversazione (da lui trascritta come incomprensibile). Secondo la dottoressa Dessì sarebbe invece possibile riportare il contenuto del dialogo. A fine udienza, il collegio dei giudici si è ritirato in camera di consiglio per emettere, poi, una sentenza di improcedibilità nei confronti di Felice Buccellato, vista la sua condizione di incapacità di intendere e volere, dichiarata dai medici irreversibile che, pertanto, non gli consentirebbe di partecipare al processo.