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A caccia dell’orso. Ma nessuno tocchi Caino

“A caccia dell’orso andiamo

Di un orso grande e grosso

Paura non abbiamo

Oh-oh, tempesta!

Di neve che fischia

Non si può passare sopra

Non si può passare sotto

Ci si dovrà passare in mezzo…”

Michael Rosen

Se ne dicono tante in questi drammatici tempi di guerra. Sarà per frustrazione o per impotenza di fronte alle notizie che arrivano dal fronte o anche per quell’innato spirito di polemica tutto italiano, chissà. Dall’inizio dell’aggressione russa si assiste ormai ad un fuoco di fila di sermonisti del giorno dopo alle prese con improvvisate lectio magistralis, mentre i social generalisti e non tracimano di verità ex-post, come se piovesse. Ci manca poco e pare quasi di doversi aspettare a questo punto “la familiare di Peroni, un tifo indiavolato e rutto libero” di fantozziana memoria.

Peccato solo che a riportarci all’orrore della guerra ci pensano poi puntualmente, gli inesorabili bollettini di guerra. Mentre, a noi che abbiamo (ancora) un tetto sopra la testa, un lavoro attraverso il quale sfamare la prole, un termosifone (ancora) funzionante con cui riscaldare questa gelida coda d’inverno e, soprattutto, un cuore non di latta, niente ci sembra più inopportuno delle sterili polemiche da salottino televisivo che vanno ormai in scena a cadenza ciclica.

Fra i trending topic che vanno per la maggiore si segnala la caccia alle streghe, con tanto di processi sommari e rogo al pubblico ludibrio, riservate ad amici e sodali dello zar Putin. È lì che l’occhio di bue si concentra a sfruculiare capziosamente, indagando fra coloro che si sono macchiati di mescolare affetti e di stringere affari con il dittatore russo, colpevole di aver scatenato la guerra più ingiusta e assurda che potesse mai essere immaginata. Se mai un giorno dovessimo scoprire su questo pianeta un solo motivo per combatterne una giusta.

Ora, brevemente e giusto per chiarezza: non c’è dubbio che in tempi non sospetti sarebbe stato per lo meno opportuno prendere l’Orso russo per il suo giusto verso o mantenere da lui almeno la giusta distanza di sicurezza. E invece, sia a destra quanto a sinistra, uniti in una sorta di goffo balletto russo, fra salmone, vodka e caviale beluga, si è fatto a gara nel malsicuro tentativo di accaparrarsi le simpatie e il cuore (quello sì, di latta) dell’uomo più triste e ridicolo del mondo. Per poi vantarsene spudoratamente, mostrandone urbi et orbi lo scalpo come trofeo di guerra.

Senza sorvolare sulle dichiarazioni d’ amore pronunciate con solennità e trasporto nei confronti di Putin da ministri (Salvini) e capi di governo (Berlusconi) non più tardi di qualche anno fa, c’è un dato che sembra accomunare nel tempo la politica con l’opinione pubblica in Italia: la persistente e strisciante russofilia degli italiani. Nonostante tutto. Una corrispondenza d’amorosi sensi, a suo modo ricambiata, se si guardano i dati di presenze del turismo russo d’elite lungo tutto la penisola. A causa o a ragione di questo, sono in tanti, se non in tantissimi gli italiani che si sono fatti stregare dalla smisurata grandezza del paese di Masha e del suo Orso.

Per inciso, a costo di rischiare di passare per naif, ho sempre pensato che il trait-d’-union fra Russia e Italia, due paesi profondamente diversi, fosse sempre stato un senso di mal celato provincialismo o anche di sofferta marginalità che Mosca e Roma avrebbero accumulato storicamente nei confronti dell’Europa che conta. Chissà, magari potrebbe essere un filone di ricerca. In tempo di pace almeno …

Nel frattempo, mentre continuano a cadere le bombe, la festa sembra (almeno per il momento) finita e tutti gli amici si sono dati alla macchia. E ora che l’indignazione comincia a muovere le coscienze, ecco il povero Dostoevskij che, fra una cosa e l’altra, rischia di passare quasi per mentore del dittatore Putin (come lo fu un tempo Nietzsche per Hitler). Mentre già da un pezzo si assiste all’ incredibile ed imbarazzante rincorrersi di prese di distanza da parte dei protagonisti, nel loro spiacevole e penoso ritrattare, nel maldestro tentativo di sminuire l’amicizia dei tempi che furono. Triplo salto carpiato con avvitamento e destra e scappellamento a sinistra. Antani…

Una operazione quella della caccia alle streghe che non ha comunque risparmiato nessuno. Nemmeno i tedeschi. Leggevo che l’ex cancelliere tedesco, Gerard Schroeder, antico e intimo sodale di Putin, che negli ultimi anni ha rivestito incarichi di vertice in Gazprom per la costruzione del gasdotto russo-tedesco sul Baltico, il Nord Stream 2, sarà con molta probabilità espulso dal Partito Socialdemocratico, e invitato a lasciare le diverse fondazioni di cui faceva parte e …visto che c’è, anche del circolo della bocciofila di Hannover, città dove risiede…

Giustizia sarà fatta insomma… Peccato solo che quel gasdotto era stato creato ad arte con il preciso intento di bypassare l’Ucraina e, in ragione di questo, salutato da quasi tutta la politica e dagli stessi media come un nuovo e più conveniente corridoio di approvvigionamento, non solo per la Germania ma per l’Europa tutta. Ciononostante, ai media tedeschi basteranno verosimilmente le dimissioni di Schroeder per lavarsi la coscienza in maniera soddisfacente, nascondendo il resto dell’ipocrisia bellamente sotto il tappeto.

Ecco, questo senso di giustizia ex-post o di regolamento di conti interno collegato alla immane tragedia dell’Ucraina, mi pare si possa individuare come vettore di due sentimenti, in certo qual modo, contrastanti e presenti in maniera bonaria nella purtroppo sempre troppo labile opinione pubblica occidentale.

Intanto pare spia di una lancinante rabbia o frustrazione per l’impotenza di tutta la classe politica e dell’intera diplomazia occidentale. Visto che, come dato di fatto acquisito, nessuno ha davvero mai compreso nel profondo l’indole vera dell’Orso russo. E visti anche i vari fallimenti accumulati dall’Occidente nutrendolo, appoggiandolo, foraggiandolo senza mai chiedergli conto e ragione dei suoi colpi di testa (Cecenia, Ossezia, Georgia, Crimea, diritti civili etc…).

L’altro sentimento è opposto ma non contrario. Si arrovella nella triste consapevolezza che chiunque al loro posto, al posto cioè dei politici che hanno mangiato nello stesso piatto di Putin, avrebbero agito nello stesso identico modo. Chiamiamola realpolitik, ragion di stato, interesse economico, geopolitico e, perchè no, calcolo militare.

Non dimentichiamoci poi che Mosca è una delle città più iconiche al mondo. Assetto imprescindibile, sia che si giochi a Risiko o che si guardi ai reali interessi geopolitici sul campo. Dove a trovarsi fra la Piazza Rossa, la chiesa di San Basilio e il Cremlino, sembra come di stare a cavalcioni del Mondo, nel punto esatto dove la Storia e la Cultura (specie del Novecento) si sono date appuntamento.

Oltre che per gli equilibri, la stabilità economica, politica e militare del mondo, più prosaicamente Italia e Russia sono legati da grandi interessi commerciali. La Russia figura ad oggi, secondo dati freschi dell’ICE del 2021, all’ottavo posto fra i paesi più importanti per il nostro mercato. Importiamo da Mosca per un valore di 11 miliardi di euro: gas naturale, metalli preziosi come il palladio, petrolio grezzo, antracite, prodotti chimici e legno. Leggermente inferiore sulla bilancia commerciale il peso del nostro export verso la Russia, 7 miliardi di euro, concentrato principalmente su macchinari e apparecchiature (comprese quelle militari…). Mentre al secondo posto si trovano i capi di abbigliamento e del lusso made in Italy, molto apprezzati tra i magnati russi: Moncler, Brunello Cucinelli, Ferragamo e Tod’s per citare solo alcuni dei brand italiani più forti in Russia. Seguono i prodotti chimici e farmaceutici. È il peccato originale del capitalismo, bellezza … direbbe qualcuno, senza per questo lasciarsi scandalizzare dal crudo realismo.

E certamente la colpa più grande non è quella di aver cercato l’empatia, l’amicizia, la connivenza con il tiranno Putin. La colpa più grande della politica è semmai un’altra. Quella di non aver capito che questo immenso paese, abituato dalla Storia ad essere egemone e declassato invece ad un umiliante provincialismo all’indomani della caduta dell’ Unione Sovietica, in questi ultimi 30 anni ha dovuto sopportarte la stigma del fallimento, il fardello della mortificazione, ridotto a dipendere dalle paturnie degli occidentali e disperatamente volto alla ricerca degli antichi fasti e della sua orgogliosa identità perduta. Un paese lacerato dentro che, pur di risollevare la china, non avrebbe esitato a scatenare nemmeno la terza guerra mondiale. Per l’appunto … Questi, in tralice, paiono gli argomenti, sui quali Putin pare stia facendo leva interna per convincere i suoi concittadini della bontà delle proprie decisioni.

Ho sentito in questi giorni i miei amici russi, alcuni dei quali li conosco da vent’anni. Alcuni piangevano per la rabbia, altri invece sembrano come nascondersi dalla vergogna, altri ancora sono presi da iperattivita’: mandano email e whatsapp compulsivamente, chiamano a tutte le ore anche per dire niente. Nel loro “assurdo imbarazzo” forse cercano solo di dimostrare che la Russia non è Putin e che ciascuno di loro si sente profondamente distrutto da tutto quello che sta succedendo in Ucraina. Immeritevoli dell’odio e del profondo disprezzo che il mondo sta dispensando loro. Senza che abbiano un briciolo di responsabilità se non quella di essere probabilmente troppo deboli per essere opposizione politica.

Nel frattempo, mentre la conta dei morti civili in Ucraina comincia a far sanguinare le nostre orecchie, bisognerà probabilmente prepararsi al peggio. Uno scenario che con il passare dei giorni sembra purtroppo diventare sempre più probabile. Con l’Occidente dilaniato fra interventisti e dispensatori di sanzioni ad oltranza.

Con questi chiari di luna, con Putin che non arretra di un passo e che, anzi, ad ogni giorno che passa, si ingegna ad innalzare il tenore dello scontro, non ci resta davvero che augurarci lo scenario meno doloroso e piu’ veloce per tutti noi. Quello di una fronda interna, per azzardo. Citare la pur sfortunata operazione Valkiria, con protagonista il tenente Von Stauffenberg, durante la Seconda Guerra mondiale, magari può risultare più che altro mero gesto apotropaico. Ma niente ci impedisce di attaccarci fin anche alla scaramanzia, in questi tristi passaggi di tempo. O di sembrare anche ridicoli, pur di anteporre la pace ad ogni altro scenario.

Sia come sia, non c’è molto tempo da perdere. Le fronde, si sa, cominciano quasi sempre male e spesso finiscono anche peggio. Talvolta però hanno successo. In tempo di guerra, immagino che Putin l’abbia messo in conto: la Storia dovrebbe insegnarglielo che a tirare troppo la corda si finisce poi a testa in giù.

Per le innocenti vittime civili dell’Ucraina. Per tutti i bambini che soffrono ingiustamente. Ma anche per la dignità di Mosca e dei suoi cittadini eroici. Per le sorti della Russia. Per il mondo intero.

A patto che nessuno, dopo la sua destituzione, si azzardi poi a toccare Caino.

6 marzo 2022

Gianvito Pipitone

La corda Pazza “Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza.” Così parlava Ciampa, lo scrivano del “Berretto a sonagli”. La corda civile per stare con gli altri, per accomodare la quotidiana finzione del saper vivere; quella seria per offrire le proprie ragioni, esaminarle, difenderle. Ma quando tutto questo non basta più, quando si strappa il pirandelliano “cielo di carta” allora non resta altro che sferrare la corda pazza: “Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a fare la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza…” G. Savatteri

L’autore: Gianvito Pipitone da 20 anni export manager nel mondo del vino, scrive per passione dai tempi dell’Università. Ha autoprodotto un romanzo (Montagne della Meta, 2009), una raccolta di racconti “del Novecento” (Pecore al buio, 2017) e da novembre 2020 cura un blog (www.BarryLyndon75.it) inseguendo i suoi molteplici interessi: geopolitica, storia, letteratura, musica etc. Vive con la sua famiglia (due bellissimi pupetti: Flavio e Matilde) alle pendici dell’Etna, sospeso fra il Cielo, il Mare e la “Muntagna”.

Gianvito Pipitone

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