Il medico marsalese Giuseppe Donato, già autore di importanti libri sulla storia di Marsala, ci racconta come la nostra comunità seppe far fronte in modo esemplare all’epidemia di colera del 1837.
Quando, nel 1837, le popolazioni dell’Italia meridionale e della Sicilia in particolare vennero a contatto con il colera la reazione fu di confusione e sbigottimento. Mentre la nostra gente aveva memoria storica del flagello della peste che ripetutamente aveva colpito l’Europa, il colera si presentava come una malattia del tutto nuova e verso cui non vi era alcun riferimento nell’immaginario collettivo. Tale confusione è evidenziata dallo scrittore dialettale siciliano Nino Martoglio, che nella sua commedia “U Contrà” racconta che gli spiriti illuminati dell’epoca, sulla origine di questa malattia, si divisero in due correnti. Una chiamata dei “culunnisti” e l’altra dei “baddristi”. I primi sostenevano che il colera fosse dovuto ad un effluvio di aria che a modo di colonna si levava da terra colpendo le persone, i secondi, invece, incolpavano della malattia gli untori che mettevano delle pillole avvelenate (baddri) nelle fonti d’acqua. Se il Martoglio la metteva sul ridere, non così lo storico liberale antiborbonico siracusano Salvatore Chindemi. Questi pubblicò un opuscolo sul Cholera Morbus in cui sosteneva che a diffondere la malattia fosse il governo borbonico che così voleva punire le città più ostili al regime, come era Siracusa. Conseguenza dell’opuscolo del Chindemi fu una rivolta anti-borbonica in quella città che ebbe gravi conseguenze, tanto che Siracusa perse il titolo di città Capo-Valle a vantaggio di Noto.
Si sarebbero dovute attendere le osservazioni di Pacini nel 1854 e in special modo di Koch nel 1884 perchè la responsabilità della malattia fosse attribuita al Vibrione del Colera.
Vediamo adesso quale fu l’impatto della malattia nella città di Marsala, attraverso le “carte sparse” custodite nell’Archivio Storico del Comune di questa città.
Innanzitutto ritengo necessario spiegare quale era la situazione amministrativa della Sicilia. L’isola era divisa in sette distretti, chiamate Valli. In ognuno di questi distretti vi era una città Capo-Valle. Nel nostro caso la città che si fregiava di questo titolo era Trapani. A sovraintendere ognuna di queste Vali era posto un Intendente.
Il 31 agosto 1831, la Soprintendenza Generale di Salute Pubblica avvisava che:
Art.1 Sarà formata per tutta la periferia della Sicilia una crociera di barche della Marina Reale e di imbarcazioni doganali che saranno sotto il comando del brigantino Real Principe Carlo.
Art.2 Per la via di terra il cordone sarà composto lungo tutto il litorale da guardie stipendiate in ragione di 4 per ogni miglio.
Capitolo 1. Art.1 il litorale della Sicilia sarà diviso in 34 sezioni, di cui la 28° da Mazara a Marsala e la 29° da Marsala a Trapani.
Capitolo 4. Art.1 in ogni miglio del litorale saranno stabiliti due posti ognuno fornito di due guardie. Ogni 8 posti vi sarà un capo posto.
Art. 5. Il saldo giornaliero sarà di 2 tarì per le guardie e di 3 tarì per i capo posto. Sulle guardie e i capo posto eserciteranno la sorveglianza i nobili, gli ecclesiastici, i possidenti, i magistrati, le persone del foro, gli impiegati e gli artigiani che a turno saranno chiamati per questo servizio.
Il giorno 11 del mese di Dicembre dell’anno 1832 giungeva al Sindaco di Marsala copia del “Regolamento di servizio sanitario interno sugli attuali timori del Cholera Morbus di osservarsi in tutti i comuni della Sicilia esclusa la capitale.”
Questo l’incipit del detto regolamento: “Questa parte dei Reali Domini è illesa dal Cholera Morbus, che con grandissima strage travaglia tante regioni di Europa e di America.”
Il regolamento prevedeva la formazione in ogni città Capo-Valle, come era Trapani, di una Commissione Provinciale. Inoltre, in queste città, venivano istituite delle Commissioni Sezionarie o Parrocchie, composte da due decurioni, due notabili del paese e uno o due medici. Il parroco della parrocchia poteva assistere di diritto alle riunioni delle commissioni.
Nei comuni di ogni valle, come era Marsala, erano create delle Commissioni Comunali composte dal Sindaco, da tre notabili, dalla prima autorità ecclesiastica, dai curati, da due medici e dal giudice.
Le dette commissioni avevano diversi compiti. Dovevano individuare quegli edifici da destinare ad uso di ospedali nell’ipotesi dell’arrivo della malattia. Dovevano avere contezza dello stato e del numero dei poveri mendicanti per verificare quale influenza avrebbero potuto avere sulla pubblica salute. Per consentire a questa povera gente di dormire al coperto era compito delle commissioni di individuare dei magazzini atti alla bisogna da prendere in affitto rifornendoli di paglia avendo cura che questa fosse ben asciutta. Bisognava, inoltre sapere quante persone alloggiavano nei fondaci o negli alberghi.
Le commissioni dovevano poi vigilare su tutte le botteghe, i macelli, i venditori ambulanti, sulle cantine e le farmacie, onde valutare che fossero fornite di tutto l’occorrente, sulla nettezza di strade, vicoli, cortili, portoni, latrine, acquedotti, provvedendo a far imbiancare le abitazioni. Il servizio di pulire le strade sarebbe stato affidato ai condannati o ai poveri a cui si sarebbe data giusta mercede. Infine dovevano vigilare affinché i medici dessero notizia di ogni malattia straordinaria e specialmente di quelle che presentassero sintomi di contagio.
Il 22 Giugno del 1832 l’Intendente della valle di Trapani, pubblicava un manifesto con cui:
Art. 1 Si vietava la vendita di frutti acerbi o guasti.
Art.2 Si vietava la vendita di pesce o carne guasta.
Art.3 Si proibiva di salare o essiccare il pesce dentro la città.
Art.4. Si ordinava di sorvegliare che le caldaie dove si sogliono bollire le teste, e le interiora degli animali fossero ben stagnate e che tali carni fossero fresche.
Art. 5. Si proibiva di far macerare dentro la città lino o disa per fare corde.
Art. 6. Si proibiva di introdurre lini e canapi macerati che non fossero bene asciutti.
Art.7. Si ordinava di curare la pulizia delle stalle e delle strade.
Passarono quattro anni senza che il morbo giungesse nel Regno delle Due Sicilie.
Il giorno sette del mese di Ottobre del 1836 l’Intendente della Valle inviava al Sindaco una circolare in cui si leggeva:”…tale micidiale flagello si è sventuratamente sviluppato in alcuni punti dell’altra parte dei Reali Domini e precisamente nelle province di Capitanata e di Bari…”
Il giorno quattro del mese di Dicembre dello stesso anno da parte del governo si avvisava che a Napoli, a fine Novembre, erano deceduti per il Colera 1064 persone.
Il giorno dieci il Sindaco Mario Milo convocava per il giorno 12 tutti i medici della città. Essi erano:… Abrignani, Cristoforo Giaconia, Nicolò Giaconia, Paolo Fici, Pietro Adragna, Antonino Abrignani, Benedetto Angileri, Giuseppe Marino, Giovanni Misso e Giovanni Titone.
In questa riunione del giorno 12, tra le altre cose, si ordinava alle guardie del dazio di non consentire l’ingresso in città di animali morti o in precarie condizioni di salute, di qualunque taglia essi fossero. Si prendeva in considerazione la possibilità di aprire due grandi infermerie fuori città. Una presso il convento di San Francesco di Paola, l’altra presso la casa degli esercizi spirituali di San Carlo, attuale Istituto Agrario, che disponeva di sessantuno stanze, anche se prive di mobilio e con le finestre da riparare. Venne inoltre istituito il cordone sanitario per controllare gli ingressi in città.
Il cordone sanitario era una misura prevista dal governo. Questo cordone era costituito da una sorveglianza da attuarsi in mare aperto con 60 imbarcazioni di vario genere, da navi da guerra a barche armate, che incrociavano intorno alla Sicilia per impedire che navi provenienti da zone a rischio potessero avvicinarsi alle nostre coste. Vi era poi una sorveglianza in terraferma, lungo il litorale, con dei posti di guardia. Questi, in numero di 39 lungo il litorale di Marsala, erano custoditi in parte da civili, con funzione di sorveglianti, che prestavano tale servizio gratuitamente, e parte da gente che riceveva un salario. Per prevenire il diffondersi della malattia da parte di terra, era inoltre previsto che per uscire dal proprio comune fosse necessario munirsi di una bolletta attestante la propria buona salute. Il giorno 31 Gennaio del 1837, dal capo delle guardie, l’alfiere Russo, si lamentava dell’eccessiva rilassatezza nell’eseguire correttamente il cordone sanitario. Evidenziava, inoltre, il tentativo da parte di molti civili di sfuggire a tale compito presentando certificati medici o facendosi sostituire da gente pagata. Questi ultimi per accumulare maggior guadagno, si assoggettavano a turni di guardia ininterrotti con detrimento dell’efficacia del servizio.
Il 10 Febbraio l’Intendente osservava che non si era proceduto alla pulizia delle carceri, delle umili abitazioni, delle strade e delle stalle.
Il 13 Febbraio giungeva notizia di casi di colera a Spezzano nel distretto di Castrovillari, provincia di Cosenza.
Il 10 Marzo, visto il lassismo con cui veniva effettuato il servizio, l’Intendente ammoniva che chi si sottraeva al servizio del cordone sanitario era passibile di otto giorni di carcere e di 50 tarì di multa.
Il giorno 14 di Giugno del 1837, dato che il contagio imperversava in quasi tutto il regno, la commissione sanitaria prendeva alcuni provvedimenti.
Venivano istituiti posti di guardia nelle quattro porte della città.
Si provvedeva a risistemare le mura della città che dopo decenni d’incuria presentavano delle interruzioni che rendevano possibile il transito incontrollato di uomini e merci.
Era posta sorveglianza armata nel Borgo fuori Porta Mazzara. Zona molto pericolosa, questa, perché contigua alle numerose grotte che erano infestate da malavitosi.
Era ribadito l’utilizzo del convento di San Carlo come ospedale per i colerosi.
Si consigliava di bonificare la zona paludosa fuori Porta di Mare, il così detto Margitello, che era da sempre causa di febbri ricorrenti. Considerato che ivi il ristagno delle acque era determinato dall’accumulo delle alghe, si consigliava di scavare dei canali di drenaggio per bonificare la zona.
Il giorno 31 Agosto una buona notizia: il Sindaco di Vita comunicava che nella sua cittadina si godeva ottima salute.
Il giorno uno di Settembre l’Intendente comunicava la disposizione governativa che aboliva i cordoni sanitari limitando la sorveglianza all’interno degli abitati.
Il giorno 3 Settembre dal governo si proclamava che, essendo il territorio di Marsala immune dal colera, veniva sospeso il cordone sanitario. Restava precauzionalmente la vigilanza con sei barche armate il cui costo era a carico del comune.
Il giorno 10 Settembre il Sindaco di Salaparuta informava che nella sua città si godeva ottima salute.
Il Giorno 12 si comunicava che in Trapani non vi era più nessun caso di colera dal giorno tre.
Mentre segnali incoraggianti giungevano da più parti circa lo stato dell’epidemia, in quello stesso giorno 12 Settembre, a ricordare che la malattia aveva provocato migliaia di morti, da Salemi si comunicava a Marsala che Baldassare Ciulla, macellaio, affetto da colera era moribondo in casa della sua convivente la marsalese Marianna Figuccia, figlia di mastro Matteo. Volendosi celebrare le nozze tra i due, era necessario che da Marsala giungesse l’assenso dei genitori della sposa. Al di là di questo caso pietoso, il 15 Settembre il Sindaco di Santa Ninfa nel comunicare che nella sua città non vi era più nessun caso di colera dal 28 Agosto, riferiva di voci allarmanti sullo stato delle cose a Marsala e chiedeva ragguagli al Sindaco. Questi rispondeva ribadendo l’ottimo stato di salute della città.
Sarà stato per la salubrità del clima, oppure per l’attenta sorveglianza attuata, nonostante tutto, dal cordone sanitario, ma il flagello era passato senza colpire la nostra città. Va dato merito all’amministrazione di allora che non attenuò le misure di salvaguardia nonostante le proteste dei commercianti inglesi che dal blocco delle coste erano danneggiati sia nell’importazione delle doghe per costruire le botti, sia nell’esportazione dei loro vini. Può darsi che qualche caso di mortalità possa esserci stato e che sia stato tenuto nascosto, ma sicuramente si sarà trattato di casi assolutamente sporadici.
Che quanto successe nel lontano 1837 sia di ammonimento per la vicenda che stiamo attraversando, nella speranza che presto possa essere annunziata la fine del contagio.
Giuseppe Donato