Gli 80 giorni che (non) cambieranno l’Italia

Vincenzo Figlioli

Marsala

Gli 80 giorni che (non) cambieranno l’Italia

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giovedì 14 Dicembre 2017 - 06:28

Tra 80 giorni voteremo per le elezioni politiche. Come già avvenne 5 anni fa, ai dirigenti dei principali schieramenti politici toccherà tenere il telefono acceso anche durante le imminenti festività natalizie, perchè è proprio in queste settimane che prenderanno forma le liste da proporre ai cittadini.

La nuova legge elettorale ha mischiato le carte, coniugando i collegi uninominali e i classici listini bloccati del proporzionale. Come abbiamo già scritto in precedenza, è molto probabile che le urne regalino un ennesimo “nulla di fatto”: difficile che uno dei principali schieramenti possa ottenere maggioranze qualificate sia alla Camera che al Senato. Verosimilmente, Mattarella si ritroverà a rifare quanto fece Giorgio Napolitano nel 2013, allorchè fu necessario affidare la responsabilità di governo a una figura (in quel caso Enrico Letta) capace di far confluire su di sé anche i consensi di coalizioni o partiti avversi alla propria parte politica. Dopo Letta toccò a Renzi e infine a Gentiloni: ognuno dei loro governi ha cercato di portare avanti un programma riformatore, dovendo gestire sensibilità diverse ed equilibri parlamentari delicatissimi, che hanno reso indispensabile ricorrere a personaggi come Denis Verdini o Angelino Alfano.

Cinque anni di mediazione continua hanno però rallentato i processi decisionali e, di conseguenza, anche la ripresa economica e sociale. Se è vero che una parte del Paese è tornata a crescere (il Nord), al centrosud la situazione è andata peggiorando. La percezione degli italiani (soprattutto di chi vive da Roma in giù) è che oggi si stia peggio rispetto al 2013. Di fronte a uno scenario gattopardesco – in cui tutto è (apparentemente) cambiato affinchè non cambiasse nulla – abbiamo nuovamente un centrodestra unito e rinfrancato dagli anni passati all’opposizione, uno schieramento progressista spaccato tra Pd e sinistra, un M5S che sconta un deficit di credibilità presso alcuni strati della popolazione. Altri cinque anni senza una maggioranza sarebbero la peggiore delle iatture: una perdita di tempo che l’Italia non potrebbe permettersi, a maggior ragione in uno scenario internazionale che si fa di giorno in giorno più complicato. Se a tutto ciò aggiungiamo, qui in Sicilia, la preoccupazione per la situazione finanziaria della Regione, che potrebbe portare al fallimento dell’ente, il quadro è completo.

Ma gran parte della classe politica di questo Paese fa finta di non accorgersene, pensando a godersi le ultime note dell’orchestrina, mentre il Titanic sta per affondare.

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