La (dis)parità

Vincenzo Figlioli

Marsala

La (dis)parità

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giovedì 09 Marzo 2017 - 06:19

La giornata dell’8 marzo lascia sempre spazio a tante riflessioni. Ci sono le meritorie iniziative organizzate da amministrazioni e associazioni per sensibilizzare i cittadini sul tema delle pari opportunità o della violenza di genere. E c’è soprattutto un mercato: quello delle mimose (che fa felici i fiorai e soprattutto i venditori abusivi) e degli eventi serali, dedicato alle donne che hanno voglia di regalarsi una serata speciale all’insegna della spensieratezza. Ma l’8 marzo è anche la giornata degli “haters”, che ormai da decenni tuonano contro questa ricorrenza spiegando che la donna dovrebbe essere rispettata ogni giorno dell’anno. Riflessione assolutamente condivisibile, nei fatti oltre che nelle parole. Il problema è che spesso la loro difesa del genere femminile viene meno quando cominciano ad argomentare le proprie critiche con commenti offensivi contro le donne che, liberamente, vanno a godersi la serata. Semplicemente perchè le sentono diverse da loro.

A ben vedere, uno dei principali problemi del nostro tempo è la mancanza di solidarietà: si chiede spesso giustizia per se stessi e i propri simili o per persone che astrattamente immaginiamo meritevoli di tale diritto, ma non si riesce ad estendere tale rivendicazione pensando anche al proprio vicino di casa, al collega, al compagno di classe che si ritiene diverso o distante per valori, ideali, formazione. Ed è qui che si creano voragini che impediscono il raggiungimento di obiettivi che apparentemente dovrebbero mettere tutti d’accordo. E’ questo il corto circuito che produce i dati che quotidianamente commentiamo: l’Italia è un Paese in cui ogni tre donne, una è stata vittima, almeno una volta nella vita, di episodi di violenza, molestie o abusi; contestualmente, ogni giorno si consuma un femminicidio. Non sono storie da fiction televisive o da talk show: provate ad andare nelle scuole a parlare di questo fenomeno e vedrete studenti uscire dalla classe piangendo o restare a raccontarvi sommessamente di aver assistito a episodi di violenza domestica o di averli vissuti sulla propria pelle, perchè un giorno, all’improvviso, hanno scoperto di avere un fidanzato manesco. In alternativa, provate ad andare nelle sale d’attesa degli ambulatori, nei corridoi dei servizi sociali o presso i centri antiviolenza a vedere quante mogli, conviventi e fidanzate si presentano con occhi tumefatti, nasi rotti e denti spezzati.

Ma la (dis)parità di genere nel nostro Paese è anche altro: è l’incapacità di immaginare una donna Presidente della Repubblica o del Consiglio. Sono i colloqui di lavoro in cui risulta decisivo il requisito del “bell’aspetto”, più che le competenze. Sono gli pseudo concorsi per aspiranti starlette che spesso si trasformano in autentiche truffe. La parità è stata ridotta a una questione di indipendenza economica, di mercato o al massimo di lessico, in cui i fili del potere decisionale sono sempre manovrati dagli uomini. Un quadro monocolore arricchito da qualche illusoria pennellata, lontano anni luce dal senso autentico della parità di genere, che dovrebbe restituirci città in cui la sensibilità femminile sia un principio chiaramente visibile ogni giorno.

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