Ficarra, Picone e la nostra ora legale

Vincenzo Figlioli

Apertura

Ficarra, Picone e la nostra ora legale

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martedì 31 Gennaio 2017 - 07:20

Nella tradizione della “commedia all’italiana” è capitato spesso che i film dei grandi maestri del nostro cinema riuscissero a cogliere lo spirito del tempo molto più e molto meglio di scrittori e giornalisti. Il linguaggio popolare della Settima Arte consente infatti di utilizzare maschere e totem che a chi scrive sono precluse per esprimere con chiarezza sentimenti e sensazioni che rappresentano il quotidiano di una comunità. Da un punto di vista narrativo, l’ultimo film di Ficarra e Picone si inserisce a perfezione in questo filone.

Se sotto un profilo strettamente tecnico il livello raggiunto da Scola, Monicelli e Risi rimane lontano anni luce, da un un punto di vista civile “L’ora legale” mostra un respiro ben più ampio di tante altre commedie contemporanee. Lontano dal qualunquismo di Checco Zalone o dai toni eccessivamente rassicuranti della premiata ditta Genovese-Miniero, il film di Ficarra e Picone fotografa con acume l’Italia di oggi: da una parte, la voglia di cambiamento e di onestà di una società civile soffocata dalla crisi economica e stanca della vecchia politica; dall’altra, la tendenza da parte dei cittadini a non voler farsi carico dei propri doveri e a delegare tutte le speranze all’uomo (o al partito) della provvidenza. Un’istantanea in cui trovano posto un po’ tutti: insegnanti, liberi professionisti, commercianti abusivi, posteggiatori, operai, giovani, anziani, sacerdoti, dipendenti comunali e via dicendo. Una comunità pronta a urlare indignazione contro le malefatte della politica e ad eleggere un sindaco che promette legalità e cambiamento. Il problema, nel film, è che poi il cambiamento arriva davvero e che il nuovo sindaco non guarda in faccia amici, parenti ed elettori nel portare avanti quell’idea moderna di città che aveva presentato in campagna elettorale. Sono dunque i suoi stessi sostenitori, nel giro di pochi giorni, a ostentare irritazione di fronte a una nuova ordinanza sulla raccolta differenziata o a organizzarsi per costringere alle dimissioni il sindaco nel momento in cui si rivela eccessivamente rigorose nel contrasto alle piccole e alle grandi illegalità. Sullo sfondo, la vecchia classe dirigente e la mafia, che ben conoscono i propri “polli” e sanno bene che il modello culturale affermatosi nel tempo non può essere spazzato in poche settimane. Con serenità, attendono dunque che “l’ora legale” si concluda, preparandosi a riportare le lancette del tempo indietro di qualche mese e a ripristinare le abitudini di sempre.

Molti sindaci si saranno rivisti nel primo cittadino di Pietrammare di cui parla il film. Personalmente mi ha ricordato molto Ignazio Marino, la cui parabola per certi versi somiglia a quella del professore Pierpaolo Natoli. Ma, evidentemente, Ficarra e Picone parlano di quello che potrebbe accadere tra qualche mese in Sicilia, con le prossime elezioni regionali e una probabile affermazione del Movimento Cinque Stelle. In un certo senso, i due artisti palermitani invitano i propri conterranei (ma non solo loro) a non dimenticare che il cambiamento è un processo che ha bisogno di tante braccia e tante gambe: non bastano quelle di un sindaco, né ci si può limitare a piazzare qualche bandiera per le vie della città. Il cambiamento è forma, ma soprattutto sostanza. E per quella ci vogliono contenuti, impegno e costanza.

D’altra parte, è bene anche ricordare che chi oggi potrebbe accettare di farsi da parte, sarà pronto a tornare al suo posto nel giro di poco tempo, se la nuova classe dirigente non riuscirà a stringere davvero un patto di collaborazione con la comunità e a prenderla per mano con pazienza nel lungo viaggio da compiere verso il cambiamento. Chi, dunque, oggi ha davvero voglia di impegnarsi per la propria comunità per cambiare le cose, ha il dovere di sapere che lo aspetta un compito estremamente difficile, che non può essere portato avanti con la logica del “toglietevi voi, che adesso arrivo io”. Anche perchè gli alfieri della Restaurazione sono sempre dietro l’angolo. E vederli tornare ai posti di comando sarebbe la peggiore sconfitta possibile.

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