Riceviamo e pubblichiamo un’interessante lettera dell’export manager delle Cantine Pellegrino (già assessore della seconda giunta Lombardo) Massimo Bellina a proposito di Marsala, del suo vino e della capacità di immaginare un futuro in cui si esca dal guado della rassegnazione e dall’assuefazione.
Mi ritrovo tante volte a parlare di Marsala con i miei amici fuori dall’Italia e non so mai se farla passare per un grande paese oppure per una Città. Neanche adesso che mi trovo in Nuova Zelanda lo so anche se penso che forse dal punto di vista urbanistico e strutturale Marsala possa essere definita Città mentre sotto sotto è invece un grande, bellissimo paese che non trova la maniera di evolversi.
Ad ogni modo vivendone la quotidianità mi è chiara la percezione della presenza di due stati dell’animo che predominano su tutti e sono purtroppo ambedue negativi: la rassegnazione e l’assuefazione. Benché la seconda sia imparentata con la prima, essa implica di norma anche un coinvolgimento fisico che comunque non è oggetto di questa riflessione poiché io mi riferisco al sottotipo assuefazione mentale che è quella che più si adatta al caso Marsala. Non potrei tuttavia giurare che questo accada anche altrove epperò vorrei seppur brevemente chiarire i concetti.
Comincio con il classico caso della rassegnazione che si impossessa di noi quando intercettiamo l’incivile comportamento altrui. Banale ma significativa circostanza è quella del tizio che depone i rifiuti nella fioriera che ho piazzato davanti al mio garage, proprio per evitare che un’ altrettanto civile persona vi potesse parcheggiare l’auto davanti, pur avendo a disposizione una monumentale pattumiera a poca distanza. La prima reazione è anche la più naturale, la più ovvia: un’ inkazzatura contro ignoti. È una sensazione che molti hanno sperimentato, una specie di magma, un mulinello di nervi che imperioso ti sale dalla pancia fino alla gola e che non riusciresti a trattenere neanche volendo perché con rito immediato si trasforma in un’imprecazione che mai raggiungerà il destinatario perché appunto ignoto. Questo succede la prima, forse la seconda o la terza volta. Dopo però col tempo e considerata l’inutilità di ogni intervento subentra la rassegnazione. Ed è allora che ci rassegniamo a vedere la nostra Città imbrattata dai rifiuti, sfigurata dall’immondizia depositata in ogni angolo, ridotta ad attribuire alla monnezza un non so chè di metafisico e a farne un argomento che seppur rilevante non può essere il solo oggetto di discussione quotidiana nemmeno si trattasse dell’unico problema che abbiamo. E questo nonostante gli sforzi delle amministrazioni e il pesante tributo pagato da ognuno di noi.
E potrei andare avanti con mille esempi se non avessi voglia di passare al secondo stato dell’animo che è l’assuefazione. Parente stretta della rassegnazione ma certo più pericolosa perché predispone ad una debolezza e ad un’assenza di reazione che nel tempo si rivelano deleterie. Abbiamo sentito tante di quelle volte parlare di Marsala Città turistica che ci siamo assuefatti all’idea e ci crediamo. Ci crediamo a tal punto da pensare che ormai il più sia stato fatto e non resta che raccogliere gli agognati frutti dell’impegno profuso negli anni da politici e imprenditori persuasi di avere fatto del loro meglio. Ne siamo talmente convinti da ritenere l’Aeroporto un inutile accessorio di cui si può certamente fare a meno. E c’è stato un momento in cui alcuni erano assuefatti al punto tale da mettersi di traverso dinanzi all’idea di un Porto Turistico stile Waterfront il cui progetto sembra che ora per grazia di Dio sia andato ”in porto”. In breve erano convinti di averlo già il Porto e pertanto quell’altro più grande e più bello non serviva perché faceva fare profitto all’imprenditore che, non essendo per definizione un missionario, ci aveva investito i suoi soldi e ci credeva. Ecco l’assuefazione ti costringe all’inattività forzata e ti fa vedere il miraggio come se fosse realtà. E allora si fa poco o niente per cambiare le cose perché tanto vanno bene così e l’assuefazione ci porta a pensare che non manca nulla quando invece c’è molto altro da fare. Nessuno sfugge ad essa , tutti possono rimanerne potenzialmente vittima siano essi amministratori o amministrati.
Altro esempio. Siamo convinti che Marsala disponga di un’Enoteca Comunale. A furia di sentircelo dire ci siamo assuefatti all’idea e parliamo anche noi di Enoteca quando in realtà si tratta di tutt’altra cosa. Scambiamo un locale tecnicamente chiamato “attività di somministrazione” in pratica un wine-bar con un sito istituzionale che ovunque nel mondo alla base dispone di un sistema informativo multi-mediale strettamente collegato al territorio di cui ne illustra in dettaglio le peculiarità. Nel caso specifico all’interno del prestigioso involucro di Palazzo Fici non esiste nulla del genere e ad un percorso guidato attraverso le nostre origini e le attuali realtà produttive si sostituisce una rassegna di etichette di svariati produttori che pur facendo bella mostra sugli scaffali, da sole non significano assolutamente nulla. Ci siamo così, per l’appunto, assuefatti al concetto che è facile restaurare siti storici importanti, dimenticando che invece la difficoltà non risiede nel creare i contenitori bensì nel riempirli, rendendoli funzionali e al servizio della comunità possibilmente con personale preparato e multilingue.
E ancora. Ci eravamo assuefatti all’idea che ci fosse un Consorzio tra i produttori di Marsala. La convinzione era tale da farci credere che questo fosse come una specie di testa di ponte in grado di fare varco nella politica, nelle Istituzioni, al fine di ottenere più considerazione per questo vino, di renderlo più credibile. Senonchè l’assuefazione gioca brutti scherzi e talvolta alimenta irrealistiche illusioni. Si perché in realtà il Consorzio che ora non esiste più, non era un vero Consorzio. Al suo interno erano rappresentate le Aziende vinicole più significative che tuttavia nella realtà non condividevano alcuna strategia o obiettivo commerciale, ma ahimè mancava una parte importante della filiera produttiva: mancavano i vignaioli ossia i produttori della materia prima, quelli che vivono coltivando le vigne. E non era rappresentato nemmeno il mondo della cooperazione che volenti o nolenti ha giocato e gioca un ruolo importante nell’economia vitivinicola locale. Un siffatto Consorzio, irrazionalmente monco, non aveva e mai avrebbe potuto avere la capacità di proteggere la denominazione Marsala e tanto meno tutelarne l’immagine. Non avrebbe potuto porre rimedio agli innumerevoli errori compiuti dagli stessi produttori, nessuno escluso, che nel passato nemmeno tanto lontano hanno inondato il mondo di Marsala multigusti, dolci e stucchevoli che se da un lato incontravano l’interesse di molti dall’altro minavano dalla base le velleità di vino blasonato che il Marsala aveva veramente alle sue origini. Questo Consorzio nato nel momento forse storicamente più opportuno per dare slancio commerciale al Marsala e morto in quello meno indicato per la mole di contributi pubblici che avrebbe potuto ottenere, ha avuto a disposizione solo armi spuntate che non gli hanno certo consentito di agire in linea con quelle che erano le sue prerogative, e qualcuno è arrivato anche a sospettare che fosse schiavo degli interessi economici di questa o quell’altra Azienda anche se di questo in realtà non esiste prova. Nessuno può quindi meravigliarsi di questa tardiva implosione priva apparentemente di una valida motivazione, che lo ha raso al suolo senza far soffrire nessuno. Di un siffatto Consorzio non si patirà la mancanza tuttavia potrebbe la sua fine essere l’inizio di un percorso nuovo,una chiamata a raccolta di tutta la filiera produttiva che se unita negli intenti può veramente creare un “altro Consorzio” ripensato a misura di mercato e pertanto utile, efficace ed incisivo nella sua attività di promozione e tutela.
Potrei andare avanti con molti altri esempi di assuefazione e chi legge in questo momento ne avrà mille nella sua mente ma francamente la tirerei troppo per le lunghe.
Concludo quindi affermando che l’assuefazione è assai più pericolosa della rassegnazione perché annulla la volontà di cambiamento, perché ci costringe ad alimentarci ogni giorno delle stesse convinzioni tanto da non poterne quasi fare a meno e soprattutto perché necessita di una cura. Temo che venirne fuori non sia cosa facile, tuttavia se tutti noi popolo di assuefatti potessimo reagire con la veemenza di chi vuole uscire da un guado mortale e l’ottimismo di chi pensa che non siamo alla frutta ma bensì all’antipasto e il meglio deve ancora venire, allora forse le cose presto potrebbero cambiare e la fiducia nel futuro e la voglia di fare prevarrebbero sull’immobilismo e l’inadeguatezza. Credetemi, non esiste terapia migliore di questa per cambiare le cose.
Massimo Bellina