Al culmine delle lamentele sulla sporcizia delle strade di Marsala, sulla mancata raccolta dei rifiuti, sulle montagne di sacchetti di plastica pieni di organico e Rsu (quelli di massimo fetore) depositate vicine alle spiagge (san Teodoro in testa), sul fetore che appesta da settimane le vie del centro storico (su tutte via Calogero Isgrò e via Armando Diaz, da anni funestate anche da un cattivo funzionamento della rete fognaria) … Al culmine di tutto ciò – dicevo – una signora mi ha raccontato l’Episodio: “addirittura sembra che a porta Mazara un topo abbia finalmente morso un turista”. Naturalmente, secondo la migliore tradizione delle leggende metropolitane marsalesi che vuole che “cade un uovo a porta nuova, muore un uomo a porta Mazara”, a metà Cassero ad essere stato morso dal topo era stato il sindaco, a piazza loggia ad aver morso il sindaco era stato un addetto dell’Aimeri, al Cassero vecchio (altezza Palazzo Spanò) era stato un turista ad attaccare un addetto dell’Aimeri, a Porta Nuova era stato il sindaco a mordere un turista ad un orecchio … A parte gli scherzi, l’episodio, naturalmente destituito da ogni fondamento e quindi pura invenzione popolare, ha il merito di restituire una visione plastica e definitiva della situazione in cui versa secondo l’immaginario collettivo la nostra città: divisa, letteralmente lacerata, tra passato contadino/vitivinicolo e futuro turistico.
Per questo nella frase “sembra che a porta Mazara un topo abbia finalmente morso un turista” il “finalmente” l’ho aggiunto io. Perché l’incontro tra topo autoctono e turista straniero, una volta avvenuto, mi è parso, nella sua plastica esattezza, quasi auspicabile, un’epifania di segni che tanto ci dicono della nostra città. Queste due entità mitologiche della quotidianità estiva marsalese, infatti, fino ad ora avevano attraversato le strade della nostra città contemporaneamente, ma come su due piani paralleli, non incontrandosi mai: il topo come presenza quotidiana discreta ma destagionalizzata, palesandosi in tutte le stagioni ma in modo sporadico, sotto forma di estremo e inusuale contatto tra contrade e centro urbano. Il turista come presenza, anch’essa discreta, ma stagionale, quasi esclusivamente estiva; contatto col mondo esterno che si palesa solo d’estate grazie all’aeroporto, e con il suo sguardo e la sua presenza, conferma la bellezza del territorio e che vale la pena viverci. Se i turisti ci scelgono è il mondo che ci dice che siamo belli. E se queste due entità, questi due miti, già presi singolarmente tanto ci dicono della nostra città, ancora di più ci dicono quando si incontrano o addirittura si scontrano. Divenendo l’uno, il topo, segno di depressione economica e regresso di una città che ha dismesso il suo passato di città territorio vocata al vino e alla terra (insieme industriale e agricola) per votarsi al terziario e che ora, ora che il terziario vuol dire LSU (lavoratori socialmente utili), vorrebbe tornare industriosa ma non sa dove reinvestire le proprie energie. L’altro, il turista, incarnando il mito di crescita economica, di bellezza, di accoglienza e apertura al mondo e alle sfide della modernità. Oggi, nel racconto popolare, tra i due, prevale il topo, venuto fino in centro città a squittire sui cumuli di RSU gettati testardamente dai marsalesi negli stessi posti dove fino a 7 anni fa c’erano i cassonetti e ora non ci sono più. Vince il topo che, divenuto aggressivo, rappresenta alla perfezione la persistenza dei malcostumi dei marsalesi, azzannando e cacciando via i turisti. Ormai simbolo di regresso, di macerie, di povertà di un territorio che da decenni si dice vocato al turismo, al vino, alla cultura, al mare, ma alla fine si lascia vivere e accetta quello che viene (che siano i topi o i turisti, la peste o i soldi, il porto o l’aeroporto, gli aerei passeggeri o i caccia bombardieri, l’ambulanza o l’elisoccorso) invece di decidere il proprio futuro.
Quest’estate il topo ha morso il turista. Ha vinto il topo. L’anno prossimo speriamo succeda il contrario. Il sindaco, l’amministrazione e, non ultimi, gli addetti dell’Aimeri, non stiano a guardare. Per favore.
Renato Polizzi