I “No, Si” delle riforme

Claudia Marchetti

Apertura

I “No, Si” delle riforme

Condividi su:

giovedì 05 Maggio 2016 - 07:30

Eravamo usciti e non poco frastornati, da tutti quei martellanti “No, Si”, “Si, No” che hanno caratterizzato il referendum sulle trivelle. Per il vero la campagna #notriv si era concentrata in circa due mesi con forti prese di posizioni di cittadini, enti, associazioni ed una buona dose di astensionismo da parte del Governo. Poi sappiamo come è finita. Adesso invece, sta partendo l’altra campagna “No, si” per il referendum sulle riforme costituzionali. Ma questa volta, essendo proposto dal Governo, i bombardamenti mediatici sono iniziati con largo anticipo: 5 mesi prima. La riforma della Costituzione ridimensiona il ruolo del Senato che verrà “ignorato” sia per la fiducia di Governo, che verrà votata solo dalla Camera, sia per l’approvazione di leggi (salvo le eccezioni per quelle di competenza regionale). Ciò porterà alla fine del Bicameralismo perfetto e ad un accentramento dei poteri alla Camera dei Deputati con il pericolo di comprimere la libertà delle minoranze. I senatori a vita restano in carica solo 7 anni e non ci sarà un’indennità di ruolo anche se poco chiaro è il profilo del rimborso spese.

Cambia il ruolo e la votazione del Presidente della Repubblica e scompaiono le province ma anche il Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro in quanto verrà abolito l’articolo 99. Ma chi andrà a ricoprire quel ruolo di trait d’union in rappresentanza delle categorie produttive? Nuove modifiche per l’articolo 117 sulle competenze legislative delle Regioni: lo Stato si “riprende” alcune competenze in materia di mercati assicurativi, concorrenza, sicurezza sul lavoro, protezione civile e beni culturali segnando il fallimento, in questo campo, degli enti locali. Previste “facilitazioni” discutibili per abbassare il quorum dei referendum, ma i ddl di iniziativa popolare approderanno in Parlamento non più con 50mila firme ma addirittura con 150mila. Verrà rivisto anche l’articolo 97 sulla trasparenza amministrativa che, se da un lato viene garantito l’accesso agli atti al cittadino, dall’altro, recependo la legge Madia, vengono ampliati i limiti all’accesso stesso. Non ci libereremo neanche dell’inutile “Quota Rosa” che vuole pareggiare la rappresentanza uomo-donna ma che di fatto non fa che riconoscere il ruolo minoritario che la donna ha nella società. A ben vedere la riforma punta in particolare sull’assetto dei massimi organi dello Stato – ancora una volta primeggiano gli interessi dei governanti – piuttosto che sui diritti dei cittadini. I pro e i contro vanno valutati da qui al voto di ottobre con razionalità senza cadere di fronte alle false promesse e ai falsi messaggi che passeranno attraverso i canali mediatici. Prima di schierarci nuovamente.

Condividi su: