Chiara Poggi, Sara Scazzi, Manuela Orlandi, Elisa Claps, Melania Rea, Roberta Ragusa, Elena Ceste, Yara Gambirasio, Denise Pipitone, Angela Celentano, Federica Mangiapelo, Simonetta Cesaroni, Veronica Balsamo sono solo alcuni dei tanti nomi che giornalmente entrano nelle nostre case, ma che per motivi ancora sconosciuti sono usciti dalle loro. Siamo ormai abituati a vedere i loro sorrisi, ad ascoltare le loro storie, a sentire risoluzioni alle loro scomparse, poi irrimediabilmente smentite qualche giorno dopo. Mesi ed anni ormai sono trascorsi dalle scomparse di alcune di loro, bambine, giovani donne inghiottite nel nulla o in una rete di mistero, di intrighi, di progetti delittuosi nei quali ancora forse si dibattono o che hanno distrutto irrimediabilmente la loro vita, lasciando vuoti incolmabili e dolori atroci. E tante volte quando rivedo i loro visi o ascolto le loro storie penso con enorme pena al momento vissuto durante il sequestro o l’uccisione, a quale sarà stato il loro ultimo pensiero o durante la prigionia, se pure c’è stata, quante volte avranno pensato ai loro figli, alla loro casa, alla disperazione dei parenti, alle bambole con cui da bambine giocavano, a quell’amica con cui erano bisticciate e a cui non potranno chiedere scusa. Denise avrà pensato, nella banalità dei pensieri che possono giungere anche nei momenti tragici, alla pasta e lenticchie della nonna che si stava raffreddando, Angela che pochi minuti prima era sull’altalena, avrà pensato al gioco che aveva progettato per il pomeriggio, Manuela avrà avuto pena per quel flauto che pure era costato molto alla famiglia, Sara si sarà chiesta cosa stava succedendo in quella casa dove praticamente era cresciuta, Elisa avrà pensato al ritardo con cui avrebbe raggiunto la famiglia quella domenica in campagna, Yara avrà temuto per un attimo il castigo che avrebbe avuto in famiglia per il ritardo a cui non erano abituati, e così per un attimo prima di scomparire o di morire le loro menti si saranno soffermate nell’usuale, nel quotidiano per poi perdersi nell’assurdo e nel mistero in cui sono piombate senza rendersi conto di ciò che stava per avvenire. Penso spesso a quelle bambine ormai diventate donne e a quelle ragazze come Sara, Yara, Manuela, Elisa, Federica, Simonetta, Veronica che non invecchieranno mai perché un tragico destino ci ha lasciato i loro sorrisi fiduciosi, l’ardore della loro giovinezza dove il futuro si presentava colmo di progetti, di speranze e di sogni. Sono destinate a sorriderci sempre e noi invece a ricambiare i loro sorrisi con sguardi di pietà e di dolore. Le immagino tutte come fiori in un grande prato verde, ma le loro corolle sono a terra e i loro steli spezzati, strappati dal suolo con forza e buttati da parte con indifferenza. Proprio come Yara che ha subito la fine della sua splendida e promettente esistenza in mezzo a sterpaglie, dove nemmeno un fiore ha potuto crescere accanto per rendere più umana la sua agonia. Mamme, mogli, adolescenti, bambine, accomunate in un destino che non ha spiegazioni se non nella crudeltà umana.
Sebastiana Piccione