C’è un filo sottile, fatto di vento, storia unitaria, sale e poesia, che unisce Genova a Marsala. Un filo che Paolo Gerbella, cantautore genovese dalla penna raffinata e dalla voce gentile, ha percorso a ritroso partendo da una vacanza nel 2020 fino a ritrovarsi, oggi, protagonista di due importanti rassegne musicali: “A Scurata” alle Saline Genna con ‘Genova per Voi’ e “Finestre sul Mondo” al Baluardo Velasco, dove ha reso omaggio al poeta Dino Campana. Un viaggio artistico e umano, fatto di collaborazioni, incontri, amicizie nate viaggiando e suonando. In questa intervista ci racconta il suo percorso, tra scelte di vita radicali, riflessioni sul panorama musicale attuale e quella magica alchimia che solo il palco e il pubblico sanno creare.
Paolo, partiamo dal tramonto delle saline di Marsala. Un palcoscenico naturale che hai sognato di calcare fin da quando lo hai visitato qualche anno fa. Che esperienza è stata?
La prima volta che ho visto quel luogo ci ero capitato da turista, nel 2020, in vacanza a Marsala. Me ne ero innamorato subito. Quando poi mi è arrivata la chiamata per partecipare alla rassegna è stato un dono rincorso da un pò. Un concerto in salamoia, letteralmente: sei dentro il sale, immerso in un clima diverso, anche emotivamente. C’è il vento, il maestrale fresco, il tramonto che ti entra dentro. Suonare lì, con la gente seduta sul sale, è stato bellissimo. E poi con ottimi musicisti, su un tema, “Genova per Voi”, che poteva essere scontato ma che invece è stato trattato con intelligenza e rispetto. Mi sono sentito onorato di fare parte della schiera dei cantautori genovesi viventi.


Sfatiamo il mito: una vera “scuola genovese” voi liguri dite che non esiste…
La scuola genovese non esiste come istituzione, è più un’attitudine. Si parla spesso di scuola come se fosse un’accademia, ma Genova è fatta più che altro di musicisti, molti di grande livello, anche se spesso restano sotto traccia. Ci sono quelli della vecchia leva, certo, ma anche tanti giovani, e molte cantautrici, che usano linguaggi nuovi, ad esempio come il rap. Sono figli del loro tempo, ed in parte è giusto così.
E proprio i giovani, come li vedi oggi nel panorama musicale?
Hanno una capacità impressionante di muoversi sui social, fanno rete tra loro, sanno come farsi notare. È una macchina incredibile quella che si crea intorno a loro. Ma si guadagna pochissimo dagli streaming: Spotify è una rovina per gli autori. I soldi veri arrivano dai passaggi radio, dalla TV, dai concerti e soprattutto dai Social, se sfruttati al massimo. Le case discografiche prendono quasi tutto, per chi scrive invece, parliamo di briciole. Questo accade sia per i dischi che per i libri. Solo chi ha grandi numeri riesce a cavarsela. E allora scoppiano le polemiche sui finti sold out. Dipende tutto da quanto sei padrone del tuo pubblico.
Il pubblico, che tipo di pubblico segue i concerti. E’ evidente come ci sia stato un pre e un post pandemia…
Mi preoccupa il “pubblico medio”, quello anestetizzato da reality e programmi TV. Se gli fai sentire sempre le stesse cose, si esaltano. Li rassicura ciò che già conoscono, il nuovo li spaventa. Un pò come per i bambini. E i gestori dei locali seguono quel gusto perché devono fare numeri. È una catena difficile da spezzare.
… e qui entrano in gioco spazi come “Finestre sul Mondo” che diventano preziosi…
Esatto. Lì ho partecipato a un evento dedicato ad un poeta che andava recuperato, Dino Campana. È stato come tornare a respirare. In queste realtà ti viene voglia di dare un contributo, anche se non ci diventi ricco. Ma non è quello il punto. Conta il riscontro: hai davanti un pubblico attento, curioso. A Salvatore Inguì dovrebbero fare un monumento. Iniziative così fanno conoscere realtà e artisti che altrimenti resterebbero nascosti. E ti si apre un mondo, a me e a chi ascolta.
Lavoravi in grande aziende, poi hai lasciato tutto per la musica. Una scelta radicale?
Sì, ho lasciato un lavoro in una grande azienda. Non condividevo più quelle finalità, troppo legate alla grande distribuzione e al consumismo. Ero in conflitto con me stesso. Oggi non tornerei indietro. Certo, c’è una differenza economica importante, ma il ritorno immateriale è immenso: la libertà, l’autodeterminazione. Scrivere, salire su un palco… è un momento catartico. Si crea un filo tra te e il pubblico, un ritorno che è come la pallina da ping pong. È magia. Non ha prezzo.
Torni a Genova adesso. A che punto sei del tuo percorso?
Sono in una fase pre-creativa delicata. L’autostima crolla, la fatica aumenta. Ma è normale. Basta un dettaglio, una scintilla per accendere tutto. E quando succede, sai che ne vale la pena.
I tuoi prossimi impegni?
Portare ancora Dino Campana in giro, perche funziona. E poi continuerà anche il progetto collettivo su Gianmaria Testa, frutto di un audiolibro “Schiena Dritta”, edito da Squilibri realizzato con Guido Festinese e Maurizio Logiacco, lo porteremo di nuovo in giro. Non ha tantissime date, ma sono importanti. L’ultima è stata a Parigi. Forse ne arriveranno altre in Francia, anche per il decennale della morte nel 2026. È un lavoro che si affianca al repertorio che porto nei concerti. E poi c’è l’album “La Regina” che entra nella cultura portuale genovese, pubblicato dalla OrangeHomeRecords di Raffaele Abbate e l’unico mio lavoro che l’editore ha scelto di lasciare nella piattaforma di Spotify.
Paolo, tra cantautori, ci si aiuta ancora?
Sì, ed è una cosa bella che ho riscoperto in questi anni. Viaggiando, suonando, incontrando. Tra Marsala e Genova sono nate amicizie vere. E tra cantautori, ci si tende una mano. Sempre.