La notte tra il 6 e il 7 luglio 2023, il Foro Italico di Palermo è stato teatro di unorribile aggressione: uno stupro di gruppo che ha scosso l’intera nazione. Ora, con le condanne dei responsabili, le riflessioni si spostano su un altro piano: quello delle famiglie dei condannati. Le loro parole sono confuse, a tratti contraddittorie. Loredana, Ornella e Francesca, madri di tre dei giovani condannati, non negano la colpa dei figli, ma difendono la loro umanità. “I nostri figli hanno sbagliato, perché non si va in sette con una dama”, ma affermano anche che “non sono dei mostri“. Le parole di queste donne, attraverso i loro legali, sono cariche di equivoci, di retorica, di tentativi di giustificare l’inaccettabile. La parola “dama”, che non si sente più pronunciare da decenni, appare come un tentativo di ancorarsi a un concetto arcaico di rispetto e moralità.
Come canta Samuele Bersani “… questo mondo di mostri, che hanno solo due zampe ma sono molto più mostri”. La cronaca nera del nostro Paese ce ne offre troppi di esempi: persone apparentemente ordinarie che diventano predatori. Se questi ragazzi sono mostri? Non spetta a noi giudicarli, ma qualche dubbio sull’educazione ricevuta è legittimo. Dalle prime parole pronunciate dalla madre di Gabriele Di Trapani, si evince quanto la toppa sia peggio del buco: “Non si fa sesso così, in gruppo, in mezzo alla strada come i cani”, “… ho capito che mio figlio non ha stuprato nessuno”. Ma come, non era “non si va in 7 contro una dama”? Un pò più interrogative le parole della mamma di Christian Maronia che però lascia uno spiraglio – d’altronde c’è da dire che il nostro Stato tende alla rieducazione del condannato -: “E’ un ragazzo solare, socievole, mio figlio… Ha anche una promessa sposa, lei gli crede, io meno”. Più duro invece il padre: “Se le cose stanno così, dimenticati la mia faccia” ha detto.
Ma forse Christian ha bisogno di sostegno, non solo genitoriale ma anche psicologico. Bisogna credere al cambiamento di questi ragazzi che, se hanno fatto quello che hanno fatto, vuol dire che non avevano gli strumenti educativi per capire che stavano commettendo un grave reato. Tra le due donne, si frappone la mamma di Angelo Flores, l’unico dei 7 che conosceva la ragazza e che ha filmato lo stupro: “C’è un altro video in cui mio figlio ha dei rapporti sessuali con la ragazza, mi ha detto che era sempre lei a chiedere di filmare. Mio figlio deve pagare ma per ciò che realmente ha fatto”. E difatti Angelo sta pagando per quello che ha realmente fatto. Però sorge un dubbio: la vittima aveva detto ad Angelo – secondo le parole della madre – che il suo fidanzato la maltrattava. E ciò significa aggiungere al maltrattamento l’ulteriore abuso sessuale.
Una storia drammatica, che scava nella povertà, nella diseducazione, nella vita ‘da strada’, da quartiere. Il problema viene però da radici più profonde, da una cultura patriarcale radicata tra gli uomini e le donne difficile da sradicare. E se lo si può fare, partendo oggi e non domani, dagli asili, è grazie al rispetto delle leggi come il Codice Rosso e attraverso la diffusione capillare di una macchina potente di aiuti e protezione, perchè le donne che sono vittime di abusi – così come tutti gli individui vulnerabili per la società odierna facile a scaricare l’odio sui social – devono potersi fidare, senza paura. Ma la società che vogliamo è fatta di uomini corretti, probi, rispettosi, coi fatti e con le parole. Non vogliamo il politicamente corretto sempre e comunque, vogliamo raggiungere la parità. E la parità la si può solo conquistare lottando, come si è fatto nei secoli.