Demagogia e Cristianesimo: nichilismo religioso contro Memoria

Sebastiano Bertini

Lo scavalco

Demagogia e Cristianesimo: nichilismo religioso contro Memoria

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domenica 21 Aprile 2024 - 18:47

Uno dei caratteri profondi, inziali e ancestrali, dell’Occidente è la propensione ad assegnare grande e pervasiva importanza al Racconto dei fatti e dei fenomeni. Importanza in grado di provocare, diversamente nelle varie fasi storiche, diverse organizzazioni del rapporto Realtà/Narrazione. Ancor meglio: importanza in grado, in determinati momenti, di sbilanciare nettamente tal rapporto in favore della Narrazione. In grado, cioè, di partorire anche una platea di “nemici della Realtà”.

Ora, poco spesso si è evidenziato come tale dinamica di sbilanciamento ai danni della Realtà abbia una pertinenza forte, decisiva, con il Cristianesimo.

Mi si permetta di prenderla larga, con una comparazione storica. Si potrebbe dire che una delle “pance” più profonde di quello che oggi viene detto Story Telling sia stato secolo XVI; il secolo del Rinascimento e della germinazione dei nuovi linguaggi del “disvelamento” della Realtà.  In quella fase storica l’atto Narrativo è guidato dai nuovi strumenti concettuali; i saperi degli antichi che contaminano il tempo dei Filologi, di Colombo, Vespucci e Magellano, di Marsilio Ficino, Michelangelo e di tutti gli innovatori, fanno nascere la Modernità nel momento in cui mettono in controluce il lungo millennio del Medioevo e costringono a fare della “domanda di Realtà” quella dominante. Qui ha le radici il nuovo linguaggio matematico che sarà la guida d’onda di tutta l’Età che segue. Si riveda il Foucault di Les Mots e les Choses.

Dal canto opposto, la “gobba” crescente della Narrazione che ha iniziato a impennarsi nel ‘900 dei Fascismi sembra una delle storicamente più voluminose e estese. Scrivo “sembra” perché, in pratica, siamo ancora nella sua ombra e difficile è immaginare il momento in cui si potrà osservarne l’intero. Dagli anni ’20 del secolo scorso il racconto demagogico – il cui primo grande principe è stato Mussolini – è riuscito a imporre una sovraordinazione della Narrazione sulla Realtà. Radicando nell’emotività di un’Europa traumatizzata dalla Grande Guerra, i Totalitarismi sono riusciti nella terrificante capriola di far passare una epocale involuzione socio-culturale per razionalità disvelante. Sono riusciti, ancor di più, a imprimere alla Realtà collettiva la forma del Racconto individuale, autoreferenziale fino alla follia. Altrimenti come spiegare i Campi di Sterminio?

Si noti questo. Seppur tutto ciò sia sempre stato noto, analizzato e dissezionato, la propensione a primeggiare della Narrazione emotiva non ha mai più realmente abbandonato il nostro tempo. Anche a livello di correnti e tendenze culturali del secondo ‘900, dopo la laboriosa parentesi strutturalista, l’Occidente timbrato USA degli ultimi ’70 già si ritrova a galleggiare nelle acque viscose del Postmodernismo. Maniera sociale e culturale, quest’ultima, fatta di saturazione, di esaurimento, e soprattutto di relativizzazione; per questo capace anche di spodestare il corpo – da sempre primo e ineludibile riferimento dell’uomo nei confronti del mondo – e di renderlo succube al Racconto soggettivo.

Sono figlie – non colpevoli – di questo modo di vivere il Racconto le odierne tendenze a operare sul corpo al fine di farlo coincidere con l’immaginato. Dal tatuaggio al Body Building, dalla chirurgia estetica alla trasmigrazione dell’io nel Virtuale. Si osservi un ulteriore dettaglio. Lo studioso Samuel Huntington, lucidissimo nel 1993, legge nel mondo Post-Guerra Fredda una tendenza al ritorno dei localismi e, così, delle religioni nelle forme tradizionali. È abbastanza evidente che anche questo “ritorno di fede”, nel mondo, si è manifestato nella pienezza del Racconto demagogico: i fondamentalismi islamici sono una forma eclatante di sottomissione della Realtà al Racconto. Il Patriarca Kirill che benedice e sacralizza la guerra di Putin sta cercando di annullare la Realtà. Infine, si guardi all’attualità della politica italiana: non sono entrambi gli schieramenti politici toccati da forme di travisamento narrativo? A sinistra dall’ossessione del Politically Correct pronto a trasformarsi in Woke Culture; a destra addirittura da tentativi di revisionismo storico.

Detto questo, raggiungiamo l’obiettivo primario del discorso. Il portato culturale del cristianesimo. Entriamo in quello che chiamerei la “Funzione San Paolo”. Dalla galassia, tutt’altro che grande, di testi che ruota intorno al Nuovo Testamento, è immediato dedurre che Gesù non ha in nulla contribuito all’invenzione socio-culturale del cristianesimo. Ha predicato, è morto, e non ha lasciato nessuna disciplina di rifondazione ecclesiastica. È stato un buon ebreo, e buoni ebrei sono stati tutti i discepoli. È stato chi ha diffuso il Racconto della sua vita a indurre alcune comunità ad abbracciare il nuovo messianismo anche al di fuori della legge ebraica.

Paolo di Tarso è proprio colui – forse primo, forse tra i primi; andrà studiato il Concilio di Gerusalemme del 49 d.c. – che ha spinto per il trasloco verso questo nuovo asse “ad alta spendibilità” la Narrazione evangelica. Per tale asse, in un tempo più lungo di quanto spesso si pensi, i fedeli hanno potuto dirsi e raccontarsi “non-ebrei”, “cristiani”, e hanno tracciato il perimetro una ecclesia autonoma e organizzata ad ambizione universalistica.

Della natura primamente narrativa del cristianesimo si è discusso da sempre. Fatto sta che l’intero impianto si basa su una selezione di Racconti della vita del messia, i Vangeli, e su una manciata di lettere. E questa natura emerge con grande chiarezza nel momento in cui ci si esercita nella comparatistica: molto di tale Racconto accoglie vistosamente alcuni dei topoi letterari del tempo. In particolare, dai culti misterici – in primis il vicinissimo culto di Mitra – attinge il materiale per intrecciare la dimensione trascendente a quella storica di Gesù: dalla nascita miracolosa da madre vergine, alla movimentazione delle stelle, ai miracoli, alla resurrezione, moltissimo è già nella linea mitica Horus-Dioniso. Ora, questo non determina in nessun modo l’evaporazione del credo cristiano. Ne fa semplicemente emergere la natura antropologica.

Lo stesso esercizio del culto cristiano si basa sul ciclico esaurimento dell’intera Narrazione evangelica. Sia chiaro che la questione sta poi nel fatto che questo Racconto, per l’Istituzione religiosa, va dato per Vero in senso tanto “storico” quanto “a-storico”, indiscutibilmente. Un Racconto “storico”, “vero” poiché assolutamente inverificabile. Ancor di più: resistente in senso dogmatico all’indagine razionale e scientifica. Da questo deriva che la “storicità” su cui si basa il Racconto sia garantita solo e esclusivamente dalla stessa Istituzione, la Chiesa, che si fonda su tale Racconto.

Ed ecco il cortocircuito.

Il mondo occidentale, che è di fatto il mondo della cultura cristiana, ha portato dentro di sé, per due millenni, una peculiare tautologia del potere. E in questa circolarità l’Occidente si imbeve, dagli strati sociali più bassi ai più alti, di una forma narrativa contemporaneamente inverificabile e data per storica. In questo il cristianesimo supera le religioni arcaiche e anche i culti misterici. Il mito poteva accogliere le varianti, le narrazioni contraddittorie, le leggende, i fraintendimenti popolari e quelli colti, senza nessun problema proprio perché esente-dalla-storia. Il cristianesimo, invece, quando si chiude nella dimensione tautologica, pretende di conformare la storia alla narrazione. E questa pretesa non è null’altro che la radice della demagogia.

Ancora di più, il cristianesimo tautologico pretende la “fiducia”, la fede dogmatica, nella Narrazione di tale “storia”. Orthódoksos è colui accetta che quella Narrazione prima di tutto. Prima di ogni verificabilità. In ciò il cristianesimo dogmatico non è null’altro che un complesso organico e strutturato di strategie per arginare il nulla storico che lo abita in profondità. La demagogia del nostro tempo insiste nel ripetere proprio questo schema basilare. Costruisce un Racconto e, nel momento in cui conquista il potere di garantirlo come “vero”, chiede la fede cieca e acritica. Schema che tanto meglio funziona quanto più vasto è il nulla, la zona d’ombra che oscura la Storia. Forse allora, l’antidoto ai raccapriccianti discorsi di Netanyahu, alle parabole “anti-naziste” di Putin, al revisionismo di certe Destre, può essere la Memoria?Possiamo riempire di Memoria, storica e storicamente fondata, quel pozzo oscuro?

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

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