Mentre l’attuale Presidente della Repubblica si dice profondamente addolorato per la morte dell’ex Capo di Stato Giorgio Napolitano, alla veneranda età di 98 anni, mentre Schifani si esprime sulla scomparsa di “Giorgio Napolitano, stratega della politica, testimone di alcuni tra i più importanti avvenimenti della storia del nostro Paese dal dopoguerra in poi. Dotato di forte intelligenza e di grande abilità”, ancora ombre sussistono su alcuni fatti giudiziari che riguardano proprio Napolitano.
Nel 2013, i legali di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo uno degli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia, si rivolsero alla Cassazione per opporsi alla distruzione – poi di fatto avvenuta – delle intercettazioni tra Napolitano e l’ex ministro Mancino che era già stata decisa dal gip Ricciardi. Il capo dello Stato, la scorsa estate, aveva anche sollevato un conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, “vinto” dallo stesso Quirinale.
Si trattava delle intercettazioni telefoniche tra l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino registrate dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia.
Naturalmente il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, si oppose fortemente alla distruzione delle intercettazioni: “Ritengo questo un atto gravissimo e lesivo dei miei diritti di difesa in un processo per diffamazione avviato contro di me su querela di Nicola Mancino e una diretta conseguenza – disse – della rielezione alla presidenza della Repubblica di un individuo come Napolitano che, in merito alla possibilità di diffusione di queste intercettazioni, ha sempre manifestato un autentico panico”.