Mentre la sua leader si apprestava a prendersi la scena con un discorso definito, a seconda dell’ottica da cui lo si è ascoltato, eccezionale o vuoto, Carolina Varchi che, non inquadrata ma eletta, era seduta tra gli scranni della Camera, ma nella sua Palermo dove occupa la carica di vice sindaco, era già intervenuta e in modo, non so se ci capite, massiccio. Voi penserete, viste le deleghe che le sono state attribuite (Bilancio, Legalità, Beni confiscati e Società partecipate) che avesse già disposto con gli uffici le prime indicazioni sul Bilancio invece…
Invece si è aperto lo scontro sul linguaggio di genere con il segretario generale del Comune di Palermo, Raimondo Liotta. Infatti la vicesindaca Carolina Varchi, che è anche deputata nazionale di Fratelli d’Italia, dopo la direttiva inviata agli uffici di Palazzo delle Aquile, con la quale Liotta invitava i dirigenti a usare la declinazione al femminile di qualsiasi carica “allorquando tale carica sia rappresentata da una donna”, la meloniana non ci è stata e anzi si è opposta apertamente.
Sull’onda della presa di posizione della sua (o suo) leader Giorgia Meloni, ha fatto sapere di voler essere chiamata “il presidente del Consiglio”, Varchi ha trasmesso nero (ehm, ehm,) su bianco e si è rivolta con una sua una nota ai dipendenti del Comune, evidenziando il suo “disinteresse per la modifica della desinenza” e sottolineando come “iniziative simili distolgano l’attenzione da un’autentica difesa di diritti e prerogative delle donne che certamente non sono riconducibili all’utilizzo di una vocale in luogo di un’altra ma che richiedono interventi incisivi in materia di sostegno al lavoro femminile, alla parità salariale, alla famiglia (anche mediante l’erogazione di servizi per l’infanzia), al contrasto di ogni violenza di genere”.
Poi la vicesindaca (o vicesindaco) ha proseguito: “Soltanto se e quando ogni battaglia per l’affermazione completa e compiuta delle pari opportunità sarà vinta, si potrà tornare a dibattere su questioni squisitamente lessicali che nulla tolgono e nulla aggiungono all’affermazione dei diritti delle donne”. In base a questo ragionamento Carolina Varchi chiede che, per quanto la riguarda, “si continui a utilizzare la locuzione ‘il vicesindaco’ e ‘l’assessore'”. Se così non dovesse essere – avverte l’esponente di Fratelli d’Italia – non sarà sottoscritto alcun atto”. E se gli atti sono quelli che a Palermo le amministrazioni hanno preso da decenni, meglio che si astengano tutti i politici dal firmarli.