Diego Genna racconta “Natura corta”, tra bestiario e denuncia civile

Vincenzo Figlioli

Diego Genna racconta “Natura corta”, tra bestiario e denuncia civile

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venerdì 22 Luglio 2022 - 08:00

Dopo la prima presentazione marsalese al Complesso San Pietro, Diego Genna torna a parlare del suo libro d’esordio, “Natura corta” all’interno del Festival “Il mare colore dei libri”. Domenica 24 luglio alle 20, l’autore lilibetano sarà all’approdo “Leonardo Sciascia” di Villa Cavallotti assieme allo scrittore Giuseppe Culicchia con cui converserà sui temi, le atmosfere e gli spunti narrativi presenti nella sua opera prima, concepita negli anni in cui ha vissuto e lavorato in Australia.

Che rapporto hai con il tuo libro?

Quando è uscito ho avuto una fase di conflitto interiore. E’ un lavoro di diversi anni, una creatura che, nel momento in cui è andata in stampa, non è stata più soltanto mia, ma ha cominciato ad andare con i suoi piedi. Come dice Giuseppe Culicchia, “esordire è un po’ come morire” ed è stato difficile accettare questa cosa inizialmente, finchè alcune persone mi hanno consigliato di viverla come un punto di partenza che avrebbe fatto parte del mio bagaglio. In effetti, questa prima fase di lancio del libro mi ha consentito di rincontrare amici che non vedevo da tempo, di tornare in alcune librerie a cui ero molto legato e di conoscere nuove persone. In tutto questo Paolo Cerruto, creatore della collana Fulmicotone per l’Agenzia X, mi ha aiutato tantissimo.

Natura corta” è un titolo di impatto immediato. Come lo hai scelto?

Dopo una serie di ipotesi e possibili nomi, che andavano da Giuda Eucariota a Natura cruda, che però sembrava più vicino a un ricettario che a un bestiario, mi è venuto in mente Natura corta che mi è piaciuto per tante ragioni. Ha un’assonanza con il concetto di natura morta, ma si unisce bene anche all’idea di puntare su racconti brevi. E poi si lega anche al fatto che noi animali umani stiamo accorciando la natura. Non è solo una questione di cambiamento climatico o di disastro ambientale, ma è proprio una questione di era dell’antropocene, un percorso irreversibile. Probabilmente, per il caos che abbiamo dentro, è questo il pianeta che ci tocca vivere: stiamo costruendo il nostro inferno in quello che era il nostro eden.

Quali sono i tuoi principali riferimenti letterari?

I miei grandi amori sono gli autori del cosiddetto realismo fantastico americano, come Borges e Cortazar e, quasi in contrapposizione, la letteratura statunitense che racconta la nostra società violenta, come fa David Foster Wallace. Per me nella letteratura moderna ci sono tre grandi opere che hanno dato vita a un’autentica rivoluzione copernicana: l’Ulisse di Joyce, Il Gioco del Mondo di Cortazar e Infinite Jest di Wallace.

Quanto c’è in questo libro del tuo rapporto con Marsala?

Di sicuro c’è il mare e, per me, Marsala è la città di mare per eccellenza, se consideriamo che dalla punta estrema dello Stagnone a Petrosino ci sono circa 30 km di costa. Ma la cosa bella di Marsala è che, ovunque ti trovi, hai sempre il mare di fianco. Questa cosa ti entra dentro da ragazzino e ti segna a vita. La parte brutta è che molto spesso questo ambiente, mi riferisco alla Sicilia e all’Italia, più in generale, viene intaccato dalla presenza dell’uomo che è sempre pronto a manifestare la propria arroganza in termini di degrado, come se avesse il diritto esclusivo di impossessarsi di quel paesaggio. Sono stato a Erice in questi giorni e mentre contemplavamo da un belvedere il magnifico tramonto sul mare, ci siamo accorti delle distese di rifiuti che giacevano sotto di noi, creando un corto circuito che ha distrutto la magia che stavamo ammirando.

Stai lavorando a un secondo libro?

E’ già finito. E’ un romanzo e c’è molto, molto mare.

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