Processo Perricone, il 24 settembre la sentenza

Linda Ferrara

Processo Perricone, il 24 settembre la sentenza

Condividi su:

lunedì 20 Settembre 2021 - 06:50

Ad annunciare la decisione è stato il presidente del collegio dei giudici, il dottore Enzo Agate, nel corso dell’udienza dedicata alle repliche del pubblico ministero, la dottoressa Penna. Intanto, quelle delle difese, sono iniziate con l’intervento dell’avvocato Giovanni Lentini, legale di Mary Perricone. Le altre termineranno prima che i magistrati si chiuderanno in Camera di consiglio per emettere il verdetto.

Si è tenuta nell’aula intitolata al magistrato Alberto Giacomelli, presso il tribunale di Trapani, la penultima udienza del processo a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, e di altri tre soggetti: la cugina Mary Perricone, l’ex legale rappresentante della Promosud srl, Marianna Cottone e l’ex funzionario del centro per l’impego della città, Emanuele Asta. Dovranno rispondere di vari reati, tra cui: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e della Ue, corruzione.

L’inchiesta della magistratura “Affari Sporchi”, scattata nel 2016, si è incentrata sul fallimento della società consortile Nettuno e sulla liquidazione coatta amministrativa della Cea, cooperativa fondata nel ’69 dal padre del politico alcamese. Nel 2010, le fiamme gialle avevano sequestrato il cantiere dei lavori del porto di Castellamare del Golfo, dove le citate società operavano. Accusa e difesa, nel corso del dibattimento, si sono scontrate sul motivo che ha condotto innanzitutto alla crisi finanziaria della società consortile, la Nettuno, costituita dall’Ati come unico centro di imputazione dei costi dell’appalto del porto per l’appunto. L’associazione temporanea di imprese era formata dalla capogruppo Coveco ( Consorzio Veneto che affiderà l’esecuzione dei lavori alla sua associata Cea), Comesi Taomar (che uscirà dall’appalto dopo il secondo Sal) e dalla Cogem. Per la Procura, la Nettuno e la Cea sarebbero state fatte artatamente fallire. Dietro tale operazione vi sarebbe stato proprio Pasquale Perricone, il quale, in qualità di amministratore occulto, avrebbe operato sul cantiere del porto grazie alla longa manus della parente, Mary Perricone per l’appunto.

Il sostituto procuratore, la dottoressa Rossana Penna dunque, nell’esposizione delle sue repliche, ricordando che il passivo della Nettuno era pari a 6 milioni di euro circa e quello della Cea a 10 milioni, ha ribadito che è stato contestato agli imputati il reato di bancarotta fraudolenta impropria, al contrario di quanto sostenuto dai difensori, secondo cui le responsabilità della crisi economica registrata dalle società andrebbero suddivise solidalmente tra gli amministratori. Per l’accusa, invece, il problema è costituito dal flusso finanziario che concerne la vicenda. L’operazione, secondo tali tesi, sarebbe stata pianificata. La somma delle diverse condotte illecite nell’arco temprale dei lavori del porto di Castellammare, iniziati nel 2007, farebbe comprendere che si è trattato di un sistema. La società Nettuno è stata paragonata dal pubblico ministero ad un bambino che non è stato fatto sfamare. Dal 2008, infatti, la consortile si sarebbe trovata in un continuo stato di insolvenza. Rispetto ad un appalto (assegnato nel 2005 all’unica offerta pervenuta) di 22 milioni di euro, ne sono stati contabilizzati 18 milioni. Sulla Nettuno, inoltre, le consorziate non avrebbero riversato tutto quello che la stazione appaltante aveva erogato alla capofila dell’Ati, il Coveco per l’appunto. Quest’ultimo, infatti, aveva girato alle altre società 13 milioni di euro. Cea ( nel frattempo ha ottenuto l’80% delle quote, acquisendo quelle della Comesi ) ha ricevuto quasi 9 milioni di euro, mentre Cogem poco più di 2 milioni e mezzo. E dunque mancherebbero all’appello quasi 2 milioni di euro. Altro problema posto dal sostituto procuratore è stato quello relativo all’associazione di Cea con Coveco, avvenuta nel 2004 e in vista dell’appalto. Infatti, dal 2003 la cooperativa dietro la quale si sarebbe celato Pasquale Perricone ha registrato delle passività. Non è stata, tra l’altro, mai trovata la relazione sulla situazione finanziaria della stessa, che non avrebbe potuto consentire al Coveco di procedere alla citata associazione. Il conto in proprio della Cea si trovava poi costantemente in negativo: doveva sempre dare. E il Coveco è intervenuto diverse volte per aiutarla.

Per quanto concerne il ruolo di Mary Perricone, secondo l’accusa, una prova sarebbe costituita da una famosa email inviata dall’avvocato Stefania Lago del Coveco, e dalla quale si evincerebbe che la cugina dello storico esponente del PSI alcamese fosse addentrata nella Cea. A ciò andrebbe aggiunta la testimonianza del presidente del Consorzio Veneto, Franco Morbiolo (coinvolto anche nell’inchiesta sul Mose di Venezia), in contatto con Perricone sin da quando faceva parte del consorzio Ravennate. Rispetto all’interrogatorio dei pubblici ministeri nel corso dell’indagine, in cui avrebbe descritto con più decisione il ruolo rivestito dalla Perricone, Morbiolo è diventato poi possibilista sul suo coinvolgimento nell’amministrazione della Cea durante il processo.

Chi è Pasquale Perricone, ha dichiarato il pubblico ministero, lo ha però spiegato il collaboratore di giustizia Giuseppe Ferro (ex capomafia di Alcamo), sentito nel corso del dibattimento. Perricone, per l’accusa, sarebbe preoccupato per l’emersione di suoi possibili collegamenti con la criminalità mafiosa e con la sua possibile riconducibilità alla Cea. Fatto che avrebbe reso più difficile la partecipazione di questa agli appalti pubblici. Secondo la Procura, Pasquale Perricone sarebbe consapevole di essere identificato all’esterno con la cooperativa. A dare fondatezza a tale tesi, vi sarebbe anche l’avvenuto viaggio a Mestre con l’allora presidente della Lega delle Cooperative, Giorgio Muscarello, per cercare di rimediare alle difficoltà della Cea. Per il pubblico ministero, l’ex vicesindaco di Alcamo sarebbe dunque l’ideatore e il concorrente morale dell’intera operazione, l’unico in grado di avere una visione strategica della Cea e della Nettuno.

Altra situazione che dimostrerebbe la presenza di Pasquale Perricone negli affari della Cea sarebbe quella relativa al lodo arbitrale per i lavori del porto di Pantelleria. Nel 2011 l’esponente politico si sarebbe interessato anche al pagamento delle spese legali, nonostante avesse abbandonato nel 2002 la carica di vicepresidente del consorzio, all’interno del quale era presente la Cea. Per la Procura, infatti, avrebbe lasciato la carica perché incompatibile con la presidenza del Consiglio comunale, ruolo che ha rivestito dopo essere stato eletto consigliere nel 2001. Nello stesso periodo, inoltre, erano in cantiere i lavori di Contrada Sasi ad Alcamo, appalto in cui partecipavano, la Cmc, il Consorzio Ravennate, le associate Cea e la ditta Vito Emmolo, diventata poi Cogem. Dunque, la dottoressa Penna ha domandato in aula “Cosa è andato fare?”, riferendosi al citato lodo arbitrale, ed ha aggiunto “È prevista la figura del vecchio saggio?”. Le intercettazioni tra i cugini Perricone secondo il sostituto procuratore poi dimostrerebbero che gli amministratori di fatto sostanzialmente hanno determinato il fallimento delle società. Sulla inutilizzabilità di queste, tesi supportata dalle difese, la dottoressa Pena ha affermato che “Siamo fuori dalla sentenza Cavallo”. La richiesta per effettuare le intercettazioni ha riguardato infatti i reati di bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere, tramite cui la Procura si è resa conto dell’abuso dello schema delle cooperative, tutte riconducibili a Perricone. Il sistema organizzativo sarebbe dunque quello dell’associazione a delinquere perché ci sarebbe il progetto criminale. La longa manus sarebbe stata sicuramente Mary, per l’accusa. Pasquale Perricone sarebbe invece l’amministratore occulto di una serie di cooperative fasulle.

Sulla tesi dell’inutilizzabilità del maresciallo della guardia di finanza Giacomo Sorrentino, in qualità di testimone nel processo, la dottoressa Penna ha spiegato che l’ufficiale di polizia giudiziaria può riferire sulle indagini che ha fatto e sarebbe dunque pienamente utilizzabile. Per quanto concerne il reato di corruzione, il sostituto procuratore, riferendosi ad Emanuele Asta, ha precisato che l’accordo corruttivo si può ricostruire da conversazioni esplicite. E, pertanto, lo sarebbero le prestazioni e le controprestazioni venute fuori dalle intercettazioni. Il controllo sul reale svolgimento dei corsi professionali, inoltre, farebbe parte proprio della competenza professionale del funzionario regionale. È pacifico, per l’accusa, che il Centro per l’impiego ha il potere di controllo, delle ispezioni. Le conversazioni captate dagli inquirenti avrebbero inoltre fatto capire i rapporti tra l’Asta, il Perricone e la Cottone. Nella dichiarazioni spontanee, tra l’altro, quest’ultima ha dichiarato che l’Asta era pressante. Sempre dalle intercettazioni si evincerebbe poi la promessa del posto di lavoro.

Al termine della sua replica, il pubblico ministero ha prodotto la sentenza di fallimento della Nettuno e della liquidazione coatta amministrativa della Cea. Invece, su quella relativa alla relazione del revisore contabile e sullo stato passivo in cui figura la Promosud, l’avvocato Giuseppe Benenati, legale dello storico esponente del PSI alcamese, ha fatto opposizione. Per l’avvocato Benenati la Promosud indicata nella citata relazione non sarebbe quella che si occupava della formazione professionale, ma dei lavori edili insieme alle imprese degli Emmolo. Il collegio dei giudici, presieduto dal dottore Enzo Agate e a latere le dottoresse Roberta Nodari e Chiara Badalucco, dopo essersi ritirato per valutare, ha deciso di disporre l’acquisizione del nuovo elemento probatorio.

Nella sua replica l’avvocato Giovanni Lentini, che nel processo difende Mary Perricone, ha fatto riferimento alle norme prettamente penalistiche. Secondo il legale, non è la condotta che determina il fallimento. Il consorzio Nettuno, ha spiegato, non avrebbe potuto pagare nel 2010 i quattro milioni di euro di debito perché senza risorse. Dunque, avrebbe dovuto risponderne direttamente Coveco, principale soggetto responsabile. Quindi, il problema sarebbe esclusivamente economico. Per il difensore, non sapremo mai se il sequestro del porto di Castellammare del Golfo sia stato legittimo o meno. Secondo l’avvocato Lentini avrebbe interrotto un processo positivo. Inoltre, il legale ha precisato che la Cea non avrebbe preso l’80% dei lavori dell’appalto, ma la sua partecipazione al consorzio Nettuno, perché la cooperativa non avrebbe fatto parte dell’Ati, ma sarebbe stata soltanto un’associata. Non ci sarebbe stato pertanto alcun disegno criminoso. Tutte le somme che la Cea avrebbe ricevuto dal Coveco sarebbero state impegnate nel cantiere del porto. Tutto questo sarebbe quindi documentato. “Abbiamo avuto l’onestà di dire che 80 mila euro, quindi 1% dell’importo, non è stato documentato” ha dichiarato in aula. Il processo, ha ricordato, si è svolto dopo 10 anni dal fallimento. “Noi abbiamo sostenuto che la Perricone non c’entra, non ha commesso il fatto”, ha continuato. A dimostrarlo sarebbero stati i testimoni, i quali avrebbero detto che non c’entrava con l’amministrazione della Cea. La lettera (mail ndr) della signora Lago, inoltre, secondo il legale, non dovrebbe essere considerata una prova perché dimostrerebbe che non la conosceva.

Le altre repliche delle difese termineranno il 24 settembre. Nella stessa giornata i giudici si chiuderanno in Camera di consiglio per emettere il verdetto. Ad annunciare la decisione è stato il presidente del collegio dei giudici, il dottore Enzo Agate.

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commenta