Esattamente 20 anni fa, migliaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo si ritrovarono a Genova per manifestare il proprio dissenso di fronte ai governanti delle maggiori potenze economiche, riunitisi nel capoluogo ligure per il G8. Fu uno dei momenti più alti e drammatici nella storia del movimento No Global, che da Seattle in poi cercò di porre all’attenzione della politica e dei media una serie di tematiche cruciali rispetto all’indirizzo che stava prendendo il processo di globalizzazione in atto. Anche dalla Sicilia partirono molti studenti, tra cui il marsalese Andrea Messina, che adesso fa il docente a Palermo e non ha mai abbandonato l’impegno civile a favore della giustizia sociale.
Qual è il tuo ricordo di quelle giornate?
E’ un ricordo particolare, che tende a non volersi soffermare solo sulle dinamiche di piazza di venerdì 20 e sabato 21. Ad esempio, giovedì ci fu un corteo dei migranti che fu solo di contenuti, ma se ne parlò poco. Ci si ricorda poco anche delle istanze: la cancellazione del debito dei Paesi poveri, una migliore distribuzione del reddito e delle ricchezze nel pianeta…Si tende a ricordare maggiormente le violenze sui cortei pacifici, come quello delle “tute bianche”, mentre i black block rimanevano indisturbati. Quelle due giornate, comunque, furono senza dubbio drammatiche, soprattutto per la morte di Carlo Giuliani, che era un nostro coetaneo e scosse tutti noi.
Quanto sono attuali quelle istanze?
Sono tutte attuali. Negli anni successivi il pacchetto Treu, la legge Biagi, il Jobs Act, hanno ulteriormente precarizzato il mondo del lavoro. Ma c’era anche il movimento Pink che proponeva i temi poi ripresi dai movimenti LGBT, c’erano le tematiche ambientali poi riprese da Greta Thunberg…Tutte questioni purtroppo irrisolte e che adesso hanno ancora maggiore risalto. Il processo di globalizzazione è andato avanti, senza estendere i diritti, ma rendendo, negli ultimi 20 anni, i ricchi più ricchi e i poveri più poveri.
Quali furono le principali responsabilità politiche di quel che avvenne in quei giorni a Genova?
Chi governava a quel tempo, mostrò senz’altro la ferma volontà di dare una risposta feroce. D’altra parte, nel movimento non c’è mai stata nessuna autocritica su alcune scelte, come la volontà mostrata da alcune frange di invadere la zona rossa, mandando un po’ di gente allo sbaraglio. Restano, poi, tre casi particolarmente gravi: il mancato processo per l’omicidio di Carlo Giuliani, la falsificazione delle prove sulla vicenda della scuola Diaz e i fatti della caserma di Bolzaneto di cui molti pagano ancora gravi conseguenze psicologiche e che ha visto solo 8-9 condannati, mentre per altri il procedimento è stato estinto. Ho sentito l’ex Ministro della Difesa Martino, in una recente intervista, dare la colpa ai servizi segreti, io penso che loro fossero ben consapevoli della pochezza militare del movimento, come si era già visto qualche mese prima al Global Forum di Napoli.
Quanto i fatti di Genova hanno condizionato la vita successiva del movimento No Global?
Purtroppo, moltissimo. Non è rimasto niente, ognuno è andato per conto suo, magari continuando a portare avanti singole istanze. Ci sono state altre manifestazioni negli anni immediatamente successivi, ma la violenza di quei giorni ha impaurito tantissime persone e di fatto quel grande movimento, così eterogeneo nella sua composizione, fu spazzato via.
La pandemia ha inciso su tante cose in questi due anni. E’ auspicabile che, appena si potrà, ritorni il tempo delle grandi mobilitazioni per i diritti?
Il mio, più che un auspicio, è una speranza. Anche perchè la pandemia ha accentuato ulteriormente le diseguaglianze e ha fatto emergere tante criticità, soprattutto sulla sanità pubblica, per anni oggetti di tagli. Purtroppo tanta gente confonde la partecipazione al dibattito sui social con quella effettiva, ma mi auguro che ci si possa riappropriare di un certo tipo di mobilitazione.