Il racconto struggente di Salvatore Inguì in un incontro di formazione del presidio “Vito Pipitone’ sull’attività internazionale di Libera: la costruzione della rete sociale in America latina “ALAS”
Muoiono come farfalle, perché delle farfalle sono la voce. Sono i difensori della Terra dell’America Latina, eredi di Maya, Aztechi, Inca che conservano le fattezze e la tenacia di popoli capaci di essere la diretta emanazione della Pachamama, la Madre Terra, che poi è anche …la nostra. Estremamente difficile da comprendere questa lotta che tanto assomiglia al canto degli uccelli, al volo delle aquile, al germogliare delle orchidee spontanee. Estremamente difficile per noi europei, occidentali, imbevuti di una concezione antropocentrica in cui tutto appartiene all’uomo ed esiste per servire a lui e a lui soltanto. Queste donne, questi uomini, invece, orgogliosamente rappresentano il diritto naturale del Fiume, e lo fanno perché il Fiume non ha voce, ma loro sì e ne interpretano il richiamo che è racconto di dolore.
Ne ha parlato Salvatore Inguì – che in America Latina è stato più volte dal 2012 al 2019 e che ancora, in parte è rimasto in quelle parole, in quegli occhi, in quegli abbracci, in quei canti incomprensibili eppure grandemente intuibili – nel suo libro: “I martiri dell’America Latina Difensori della Terra”, dove i volti dei martiri scomparsi di cui non rimane neppure una fotografia sono stati disegnati da Giorgio Brugaletta. Un diario emotivo con introduzione di Emiliano Cottini, prefazione di Giuseppe De Marzo, postfazione di Luigi Ciotti (anche lui presente nel viaggio del 2019 per l’incontro dei componenti della rete Alas) edito dalla Navarra.
Salvatore Inguì ne ha parlato in occasione di un incontro di formazione del presidio di Libera “Vito Pipitone’ su Attività internazionale di Libera: la costruzione della rete sociale in America latina “ALAS” con un approfondimento sui difensori della terra e sul sicariato ambientale. Quello che emerge è una situazione di tragedia tra chi lotta strenuamente per salvare il patrimonio ambientale che ritiene sacro e del quale fa parte e grazie al quale anche noi, da questa parte del mondo, ancora respiriamo e sopravviviamo, e gli interessi criminali di chi devasta e distrugge, brucia e desertifica per coltivare droga o per realizzare spazi destinati a inutili coltivazioni intensive o a chi depreda perché gli animali di quei luoghi hanno lane pregiate da sfruttare per il fiorente mercato dei ricchi. Impossibile non provare pena, sdegno, ammirazione e dolore e impossibile non accorgersi dello scempio che investe tutti, anche i carnefici… un esempio ne è la pandemia in corso.
L’assurda convinzione che la Terra sia altro da noi, che ne siamo creature, è alla base della rottura di un sistema che per i “martiri difensori” suona come una religione, ma che discende da una sorta di baconiana integrazione tra uomo e natura. Una musica rotta da armi e fuoco che ha visto soccombere centinaia di persone “lupare bianche” sparite di cui restano “offrende” di foto sui muri. E mentre dall’altra parte del mondo si muore per le farfalle, qui basta fare una passeggiata sulla spiaggia per vedere che le conchiglie non ci sono più. Quelle che da bambini – noi quarantenni – raccoglievamo sulla battigia, sono sparite, nella nostra indifferenza e i nostri figli non le vedranno mai. Quanto stupido è il male, che uccide anche chi lo alimenta?! Questo libro va portato nelle scuole. In tutte le scuole. Perché forse è troppo tardi, ma io spero di no.