Giornata Mondiale dell’Aborto Sicuro, Anna Caliò: “A Marsala una donna non ha il diritto ad abortire volontariamente”

redazione

Giornata Mondiale dell’Aborto Sicuro, Anna Caliò: “A Marsala una donna non ha il diritto ad abortire volontariamente”

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sabato 26 Settembre 2020 - 07:30

Il 28 settembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Aborto sicuro, nata dalle depenalizzazioni ottenute in Sudamerica. Un argomento serio che, nel 2020, ha ancora troppi “muri etici”. Abbiamo affrontato la tematica e i vari aspetti connessi con la dottoressa Anna Caliò, medico di base a Marsala, specialista in Medicina Interna e Sessuologia Clinica.

Oggi nel nostro Paese e anche nel nostro territorio, quanta facilità di accesso c’è ai servizi sicuri per le donne che vogliono abortire?

Non c’è nessuna facilità. Da noi se una donna volesse abortire deve andare al Consultorio a Erice Casa Santa, dove le faranno il primo certificato di ripensamento che ha una durata di 7 giorni, previo colloquio con l’ostetrica e la psicologa. Poi torna al Consultorio, fissa l’aborto e qui ci resta mezza giornata, dopo torna a casa, non c’è ricovero.

La legge 194/1978 ha più di 40 anni e ancora ci sono tanti dubbi. La stessa legge che consente in Italia a un medico di essere obiettore e quindi di rifiutare la pratica dell’aborto se va contro i suoi principi. Ma questo comporta minore accesso ai servizi sicuri, si parla infatti di elevate percentuali di obiettori nelle strutture sanitarie del nostro Paese. E’ qualcosa che andrebbe superato?

Oggi non c’è modo di accedere al diritto all’aborto volontario a Marsala, ma non solo qui, accade in tutto il Paese. Il Consultorio è nato per garantire la sicurezza delle donne che vogliono per motivi personali interrompere la gravidanza, ma in quello di Marsala non possono farlo e neanche all’ospedale “Borsellino” perchè i medici che vi lavorano sono tutti obiettori di coscienza. Secondo me c’è un errore della legge in sé, dovrebbe essere obbligatorio per un medico che accetta il posto al Consultorio, prestare il servizio ad una donna che decide di abortire. Sarebbe necessaria una legge che garantisca, a chi partecipa ad un concorso al Consultorio, di praticare l’interruzione di gravidanza, soprattutto per tutelare la salute della donna in uno dei momenti più difficili della sua vita.

Quanto incidono le paure da un canto, e dall’altro i metodo illegali (pillole abortive acquistate su Internet, strumenti poco sicuri)?

I metodi illegali ci sono. Quelli legali sono poco sicuri per chi non se li può permettere e molto sicuri per chi se li può permettere, a livello economico. Per quanto riguarda le paure, sì ci sono. Sono 38 anni che faccio il medico e non ho mai visto una donna abortire a cuor leggero, neanche in Guardia Medica, quando mi trovavo davanti ragazzine che volevano la pillola del giorno dopo ed era troppo tardi… piangevano. Da medico ovviamente quando posso cerco di convincere una donna a tenere il bambino ma se c’è una situazione in cui questo è impossibile, perchè ad esempio frutto di un rapporto occasionale, o fuori dal matrimonio o di una violenza, o perchè economicamente la famiglia ha difficoltà a mantenere i figli che già ha, a questo punto bisogna fornire un aiuto, non si può lasciare la donna allo sbaraglio.

Per quanto riguarda l’aborto farmacologico (RU 486) anziché con intervento chirurgico, in Italia il metodo è praticato per circa un 20%, forse anche meno, nelle strutture ospedaliere e spesso non è a costo zero. In Europa arriva fino al 50%. E’ una via più sicura da percorrere?

Quello della pillola abortiva è un altro problema. In Italia è stata legalizzata da poco tempo; il ricorso all’aborto farmacologico al Sud, ad esempio, è molto basso, non tutti lo conoscono. La pillola RU 486 contiene una sostanza che fa staccare il prodotto del concepimento dalla parete dell’utero; dopo pochi giorni inizia il sanguinamento e viene somministrata un’altra pillola che favorisce la contrazione; ha gli stessi fastidi del ciclo mestruale e fino a qualche anno fa era previsto l’obbligo del ricovero ospedaliero, oggi non c’è più. La pillola viene somministrata sotto assistenza medica, poi la donna viene mandata a casa e torna per ulteriori controlli. Questa pratica si può fare entro la 10° settimana. Tra la 10° e la 14° settimana la paziente deve invece restare in ospedale fino alla completa espulsione. In Europa è più usata. Sicuramente è una via meno traumatica per la donna rispetto alla classica pratica abortiva di raschiamento e aspirazione. E anche per il medico è meno traumatico, perchè non è che un medico lo fa con piacere; trincerarsi però dietro “l’obiezione di coscienza” no!

Chi è contrario all’aborto asserisce che “un bambino non va ucciso”. Anche se la legge parla chiaro su cosa è o non è feto e quando si può abortire. Lei cosa dice a chi ha questa concezione etica?

Scientificamente è bambino quando compie un atto respiratorio. Dalla 20° settimana in poi viene considerato feto, prima della 20° settimana si chiama prodotto di concepimento o prodotto abortivo, in quest’ultimo caso quando si espelle. E ci sono leggi chiare che lo regolano. La donna ha sempre abortito, sin dai tempi antichi. Una volta le cosiddette “mammane” somministravano decotti di prezzemolo, usavano ferri da calza o strumenti da inserire nell’utero col rischio di perforazioni, infezioni, intossicazioni che portavano alla sterilità se non alla morte. La legge è nata per garantire le donne, perchè comunque chi voleva abortire lo avrebbe fatto in ogni caso con o senza legge, rischiando la vita. Nessuna donna, sia chiaro, abortisce sorridendo, è sempre un trauma. Il contrario è solo diceria. Non è casuale che la legge sull’aborto sia passata a ben due referendum abrogativi, dentro le cabine elettorali le donne entrano da sole per fortuna; pure le nostre nonne hanno dato il loro contributo, conoscevano i metodi abortivi.

E’ interesse di tutti sensibilizzare i giovani. Lei parla molto con le nuove generazioni, ha svolto degli incontri al Commerciale “Garibaldi”. Hanno piena consapevolezza del loro corpo e dei metodi contraccettivi?

Spesso ci scontriamo con la Chiesa che ci ha accusato, negli incontri con gli studenti, di spingere i ragazzi ad avere rapporti sessuali. Non è così. I ragazzi lo fanno lo stesso e noi spieghiamo loro come farlo in maniera protetta, senza incorrere in malattie. I giovani non hanno cognizione del proprio corpo, non sanno come si usa la pillola, pensano che si utilizza solo quando si ha un rapporto. Il profilattico inoltre ha un costo non indifferente, invece dovrebbe essere distribuito gratuitamente o quasi. Quando teniamo queste lezioni, diciamo sempre loro che l’età più adatta per avere un rapporto non è precoce come accade oggi, che si è abbassata persino a 13 anni. Dico sempre che bisogna trovare la persona giusta per affrontare un rapporto, che non vuol dire che sia la persona della vita, ma che sia una persona con cui stare bene e condividere qualcosa di importante. La Chiesa Cattolica si è aperta ultimamente all’uso del preservativo, sa che nei Paesi del Terzo Mondo serve ad evitare l’Aids. Peraltro oggi c’è un aumento delle malattie sessualmente trasmissibili come la sifilide o la gonorrea, oppure infezioni legate a scarsa igiene.

Cosa vorrebbe dire alle famiglie dei ragazzi che si apprestano a scoprire la propria sessualità? Dico alle famiglie di parlare coi figli, ma spesso sono loro le prime a non essere preparate su certi argomenti. Le famiglie che hanno una certa cultura devono informare i ragazzi. Se questa preparazione non c’è, dico loro di mandarli dal medico di famiglia.

Quante donne, giovani o meno, le hanno chiesto aiuto, chiedendo la pillola del giorno dopo e quella dei 5 giorni dopo?

Quando facevo Guardia Medica, l’indomani di Carnevale, Capodanno, Ferragosto, feste varie, era un via vai di ragazze che chiedevano la pillola del giorno dopo. E nonostante noi diciamo loro di prendere precauzioni, queste cose accadono. La pillola dei 5 giorni dopo è quella che viene usata in generale, non ha più la prescrizione medica ma ha un costo notevole; la pillola del giorno dopo costa meno della metà, sui 15 euro, senza prescrizione medica. In entrambi i casi bisogna essere maggiorenni per acquistarla. Ai minorenni la pillola deve prescriverla il Consultorio e non c’è bisogno della presenza del genitore per la legge sulla privacy, a meno che il genitore non sia d’accordo.

Marsala nell’ultimo periodo è stata al centro dell’attenzione nazionale per l’istituzione del Registro dei bambini mai nati. Lei è anche “scesa in piazza” accanto a tanti attivisti. Quanto può incidere sui timori di una donna ad abortire e sulla sua privacy?

C’è già una legge che regola il registro dei bambini mai nati; se una donna ha un aborto spontaneo, entro le 24 ore può richiedere il materiale abortivo e seppellirlo come vuole. E qui subentra una decisione legislativa aberrante: dopo le 24 ore, chiunque può chiedere il prodotto abortivo. Diverse associazioni religiose, passate le 24 ore richiedono i prodotti abortivi negli ospedali, portando un contenitore adeguato in cui viene immessa la poltiglia. La religione cattolica non prevede un rito per i cosiddetti ‘bambini mai nati’, e allora queste associazioni utilizzano il rito dei bambini nati morti e non ancora battezzati. Un rito per gli aborti non esiste. Inoltre i promotori del registro, chiedono una parte apposita del cimitero per seppellirli, con nome di fantasia; però nel registro il nome della madre c’è scritto, qualcuno che lo registra e che sa, c’è. A Marsala è un falso problema perchè l’aborto può essere solo spontaneo e non volontario. L’accordo aveva senso farlo col Comune di Erice, in cui si praticano gli aborti volontari. Qualcuno può dire: ad una donna che subisce un aborto spontaneo non viene in mente di chiedere il prodotto abortivo entro le 24 ore… non viene in mente a lei, ma può venire al compagno, al marito, alla madre, ecc. La legge c’è. Vorrei inoltre dire a chi li chiama ‘bambini mai nati’, che con l’aborto spontaneo qualcosa può vedersi, ma in 10 settimane il prodotto è grande come un chicco d’uva; col raschiamento o aspirazione diventa una poltiglia irriconoscibile che comprende il materiale del concepimento, tessuti della madre e sangue. Seppellire una poltiglia che senso ha?

Cosa bisogna fare nell’immediato futuro per fugare ogni dubbio sulla materia?

La prima cosa da fare è insegnare l’educazione sessuale ai ragazzi nelle scuole, conoscere il pericolo delle malattie, di una gravidanza, spiegare l’uso degli anticoncezionali. Ci vuole l’autorizzazione dei genitori, ma nella mia esperienza nessuno si è mai tirato indietro. Le domande che fanno i ragazzi fanno capire la confusione che hanno, spesso scambiano la pornografia con la sessualità, quello che vedono su Internet non è la realtà e non sanno discernere. Spesso chi è più debole ha crisi di identità, non si accetta. Alle associazioni del territorio infine dico di fare rete per chiedere che a Marsala venga garantito il diritto all’aborto volontario.

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