Le operazioni delle forze dell’ordine eseguite negli ultimi anni non hanno ancora fermato Cosa nostra siciliana, che continua a reclutare insospettabili come Daniele Santoianni, l‘ex broker di una società fallita che si era reinventato concorrente del Grande fratello 10.
Terminata l’esperienza in Tv, aveva iniziato a fare da prestanome in una società per la vendita del caffè. Ora, è ai domiciliari, la procura di Palermo e il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza l’accusano di essere un ingranaggio importante della grande macchina di riciclaggio architettata fra Palermo e Milano dai rampolli del clan Fontana, storica famiglia di mafia, che da qualche anno si sono ormai trasferiti in Lombardia.
Nella notte tra l 11 e 12 maggio, è scattata un’operazione imponente, con 91 ordinanze di custodia cautelare in carcere.
A Palermo, stavano i fedelissimi del clan dell’Acquasanta, la zona ovest della città: gestivano estorsioni, controllavano le gare all’interno di alcuni ippodromi, e si erano anche infiltrati in una cooperativa che lavora ai Cantieri navali del capoluogo siciliano. In Lombardia, stavano invece i registi dell’operazione: i fratelli Fontana, Gaetano (44 anni), Giovanni (42) e Angelo (40), i figli di don Stefano, uno dei fedelissimi del capo dei capi Totò Riina morto nel 2013. In manette anche la figlia del boss dell’Acquasanra, Rita, e la moglie, Angela Teresi. In Lombardia stavano anche gli insospettabili che gestivano l’ultimo investimento della cosca, la commercializzazione di cialde e capsule di caffè.
E’ un’indagine complessa, questa. E’ stata coordinata dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Amelia Luise, Dario Scaletta e Roberto Tartaglia (oggi, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Un’indagine che ripercorre tanti nomi su cui aveva iniziato a indagare il giudice Giovanni Falcone, alla fine degli anni Ottanta: nel regno dei boss dell’Acquasanta, in vicolo Pipitone, c’era la base operativa dei killer di Totò Riina, da lì partivano per gli omicidi eccellenti. Passato e presente tornano a intrecciarsi nelle storie della mafia palermitana. Che appare insidiosa più che mai, per la capacità che ha di infiltrarsi nel tessuto economico, soprattutto in questi mesi di crisi dovuta all’emergenza Covid.
Il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, Piergiorgio Morosini, rilancia l’allarme:
“I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, sono sempre pronti a dare la caccia ad aziende in stato di necessità – ha scritto nel suo provvedimento – Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza”. Con gli arresti sono scattati anche sequestri di società e immobili per 15 milioni.
L’anno scorso, era stata già sequestrata una gioielleria dei Fontana a Milano, in via Felice Cavallotti, nel cosiddetto “quadrilatero della moda”, a metà strada fra il duomo e il tribunale. I rampolli di Cosa nostra puntavano sempre a nuovi affari, per riciclare i soldi provenienti da Palermo. E cercavano di non dare troppo nell’occhio, Gaetano era stato scarcerato tre anni fa, la gioielleria l’aveva intestata alla convivente. E poi aveva pure acquistato degli appartamenti in alcune zone residenziali. Ma il vero affare su cui puntava era quello del caffè: prima, con alcune aziende che si occupavano della produzione, poi aveva scelto di investire solo sulla distribuzione. Sono tre le società sequestrate: due a Milano, una Palermo. Una amministrata ufficialmente dall’ex concorrente del Grande fratello.
A Palermo, i Fontana puntavano invece su un fidatissimo che non era proprio un insospettabile. Giovanni Ferrante aveva finito di scontare una condanna per mafia nel 2016, era stato affidato in prova ai servizi sociali e ufficialmente era un cittadino modello. Ma è bastato intercettarlo e pedinarlo per scoprire che gestiva il clan in modo energico. E pure lui puntava tutto su alcuni investimenti leciti, attraverso prestanome. La sua grande passione erano i purosangue, da far correre nei circuiti italiani: ne aveva comprato dodici, che adesso sono stati sequestrati. Ferrante li faceva correre a modo suo naturalmente. Ovvero, aggiustando le gare. Vecchia passione dei padrini, tre anni fa il prefetto di Palermo Antonella De Miro aveva fatto scattare un’interdittiva antimafia per la società che gestiva l’ippodromo della Favorita, che ancora oggi è chiuso.
Le intercettazioni della Guardia di finanza hanno svelato gare truccate negli ippodromi di Torino, Villanova D’Albenga (Savona), Siracusa, Milano e Modena. Gli episodi risalgono a due anni fa. Alcuni fantini sarebbero stati corrotti, altri avvicinati, per non vincere. Nelle intercettazioni, i boss parlavano anche di sostanze dopanti da somministrare ai cavalli.
Cosa sta accadendo davvero in Cosa nostra? Due anni fa, la procura di Palermo e i carabinieri hanno ascoltato in diretta i preparativi per la ricostituzione della nuova Cupola, un blitz sembrava aveva spazzato via tutti i nuovi capi delle famiglie di città e provincia. Due hanno anche deciso di collaborare con la giustizia. Qualche mese dopo, la polizia ha arrestato i mafiosi che Riina aveva esiliato negli Stati Uniti nel 1981 perché usciti “perdenti” dalla seconda guerra di mafia: gli Inzerillo. Un nuovo duro colpo per l’organizzazione.
Adesso, arrivano altri 90 arresti. Mentre in città si susseguono sequestri di cocaina. Ecco, cosa sta succedendo a Palermo. Le cosche hanno ripreso i traffici internazionali di stupefacenti, come non accadeva dagli anni Ottanta. I soldi della droga e delle scommesse on line stanno ridando vigore all’azienda mafiosa. E soprattutto liquidità, quella che adesso i padrini offrono alle imprese in difficoltà. Un abbraccio mortale.