E’ diventato virale nel giro di poche ore il video che ritrae un giovane studente di Lucca intento a inveire contro il proprio insegnante, invitandolo minacciosamente a dargli un sei e a mettersi in ginocchio. Non è che l’ultimo degli episodi che in queste settimane hanno raccontato una vera e propria escalation del bullismo scolastico, in cui le nuove vittime sono i docenti, aggrediti dai propri alunni o dai loro genitori. Nessuno, dotato di senno, sente la mancanza della “vecchia” scuola in cui i ragazzini venivano sottoposti a umiliazioni e punizioni corporali varie e i maestri si trasformavano in aguzzini che facevano inginocchiare sui ceci gli studenti meno preparati o più esuberanti. Quel modello di scuola si fondava su un modello educativo ormai desueto che non potrebbe più essere applicato nei tempi che viviamo.
Allo stesso modo, però, il prossimo Ministro della Pubblica Istruzione (se mai l’Italia riuscirà ad avere un nuovo governo), avrà il dovere di intervenire autorevolmente per arginare gli incresciosi episodi di queste settimane. Una comunità non può reggere senza il rispetto reciproco tra le diverse componenti: dirigenti, insegnanti, personale non docente, studenti, genitori. Allo stato attuale, tale rispetto è venuto a mancare o resta presente a macchia di leopardo.
Servirebbero gli Stati generali della scuola, servirebbe un momento in cui politici e burocrati si concentrassero meno sui tagli o sulle inutili battaglie di principio (il ritorno dei grembiuli o cose del genere) per ascoltare dagli addetti ai lavori cosa non funziona e cosa servirebbe per superare le criticità esistenti. Servirebbero strumenti adeguati alle nuove esigenze educative degli istituti, che spesso si trovano a supplire alle mancanze di altre istituzioni, col risultato che dai docenti ci si aspetta che svolgano funzioni più adeguate a professionalità di altro tipo (psicologi, educatori, assistenti sociali). Servirebbero, poi, al di fuori della scuola, tante altre misure per contenere i diversi disagi che covano sotto la cenere delle devastazioni familiari e che talvolta esplodono in maniera improvvisa proprio tra i banchi. E, infine, servirebbe un’operazione di reale ascolto all’interno delle diverse comunità, per capire davvero dove sta andando il Paese.