Ormai sembra che per i marsalesi facciano parte della coreografia della città. Ci riferiamo al numeroso numero di migranti che da alcuni anni sono ospiti nelle strutture della città. Sono i richiedenti asilo di colore.
In passato abbiamo cercato di incontrarli in veste, diciamo così, ufficiale, con tanto di appuntamento e spesso alla presenza dei mediatori culturali. In occasione delle imminenti festività abbiamo intrapreso un’altra strategia, dato che li incontriamo per strada ad ogni minuto della giornata, li abbiamo fermati per chiedere qualche parere sulle loro condizioni di ospiti nella nostra città. Diciamo subito che l’impressione che ne abbiamo ricavato è quella che in qualche modo tutti hanno “paura” di parlare del loro recente passato, mentre tutti sono proiettati verso futuro. Prima di dare il via a queste nostre interviste, vogliamo avvertire i lettori che non siamo per nulla convinti che ci abbaino detto la verità e comunque non tutti. E’ comprensibile e li giustifichiamo.
“Sono originario del Burkina Faso – ci ha detto Abayomi M. -. Sono a Marsala da oltre sei mesi. Non mi trovo male, ma mi mancano soprattutto i miei genitori. Spero di trovare un lavoro e mandare i soldi a casa per farli venire qui”. Poi mi chiede se abbiamo un nostro sito internet dove i suoi parenti possano leggere quello che ci sta dicendo. Nulla su come sia arrivato in Italia.
Kanelo G. (ma poi saranno veri questi nomi che ci facciamo scrivere in un foglio per meglio decifrarli?) ci dice che arriva dalla Nigeria e che è scappato perché nel villaggio dove viveva ogni tanto arrivavano quelli delle altre cittadine vicine e lo riempivano di botte. Nulla anche lui sul modo come è arrivato in Italia, circa un anno fa. Fanno squadra ma spesso, come ci hanno raccontato sono soltanto vicini di stanza. Non appartengono alla stessa nazione e dialogano tra loro in francese o in inglese. Se li vediamo parlate spesso al telefono lo fanno per mettersi in contatto con loro connazionali, magari conosciuti durante la traversata nel mare e che magari vivono in qualche altra città.
“Non è possibile – ci dice Shaaboni B. del Niger – che io e mio fratello che è giunto qualche mese prima di me non ci siamo mai potuto incontrare. Lui in trova in Puglia e così ci sentiamo per telefono. Sta bene, ma non sappiamo nulla di nostro padre che doveva partire per raggiungerci”. Qualcuno riesce ad andare a trovare amici e parenti che si trovano in città vicine. Per questo la stazione ferroviaria di Marsala è spesso meta di migranti che partono o che ritornano.
“Vado ad incontrare alcuni che ho conosciuto durante il “soggiorno” in Libia – ci ha detto alla stazione di Marsala Temitope N. B. proveniente dalla Nigeria -. Vorrei abitare con loro ma mi è stato detto che non posso fino a quando non mi sarà riconosciuto lo status di rifugiato. Aspetto da tanti mesi ma la mia pratica non è stata ancora neppure letta. Vorrei andare in Francia dove c’è mia sorella con il marito. Hanno un posto e un lavoro per me”.
In parecchi hanno detto al vostro cronista di interessarsi. Ho spiegato che io posso solo raccontare le storie, metterle in primo piano, ma non ho alcun potere, eppure ognuno che ho fermato mi ha ripetuto la richiesta di interessamento. Non sono riuscito a trovare una sola ragazza migrante, eppure ne arrivano tante. Forse Marsala non le ospita e sono destinate ad altri centri d’accoglienza.
“Le ragazze c’erano con me sulla barca – ci ha detto Kito Manu, del Senegal -, ma in Italia non le abbiamo più viste. Certo mi piacerebbe rivederle o di incontrarne altre del mio paese, ma anche italiane. Ho notato che se cerco di avvicinarne qualcuna spesso mi ignorano. Ho sentito parlare di razzismo per la prima volta in Italia. In Senegal non si sa neppure cosa sia. Il vero razzismo dalle mie parti è la differenza tra i ricchi e quelli come me che sono poveri”.
Un altro ragazzo che crediamo essere senegalese pure lui, è intervenuto durante la discussione: “Qui ci guardano male – ci ha detto –, mi dicono perché non restavi a lavorare nel tuo Paese? Inutile rispondere che se c’era il lavoro mi stavo a casa mia”.
Due ragazzi che mi hanno detto di essere originari dell’Eritrea hanno raccontato che sono scappati da una non meglio precisata guerra.
Poi la sorpresa, un gruppo di migranti di diversa nazionalità, come vi abbiamo anticipato nei giorni scorsi, ha aperto in corso Calatafimi a Marsala un internet point. Sono entrato e tra la diffidenza più totale mi è sembrato di capire che sia più un posto dove stare assieme nel pomeriggio. Invece che camminare in strada al freddo i nostri amici migranti preferiscono un luogo di ritrovo dove navigare navigare via internet che così diventa un solo pretesto.