Il consigliere comunale Daniele Nuccio ci scrive intervenendo (anche) sulla recente vicenda che ha portato alla sfiducia del sindaco di Licata Angelo Cambiano
“Mi piace pensare che verrà un giorno in cui la mia terra saprà riscattarsi, il giorno in cui i siciliani tutti sapranno uscire dal torpore nel quale da troppo tempo hanno maturato una sorta di sfiducia cronica, il fatalismo di quanti pensano che non potrà mai esserci un’alternativa allo stato di cose presente.
D’altronde il Gattopardo è roba nostra…
Il “cambiare tutto perchè nulla cambi”, l’irredimibilità dei siciliani, estratti di produzioni letterarie fra le più importanti nella storia della leteratura italiana.
Le mille sfaccettature della personalità siciliana che meglio di altri il Pirandello ha descritto, i colori forti dei quadri di Renato Guttuso, i visi scavati dalla calura di agosto impressi come in una fotografia da Giambecchina.
Terra di contrasti, di contraddizioni la mia.
Lì dove la bellezza si confronta senza mediazioni con lo squallore dell’abuso, della prevaricazione del potere, l’apoteosi della negazione del più semplice principio di equità sociale.
Tutto questo racchiuso nelle tre punte, nel perimetro della più grande isola del Mediterraneo il contrasto fra la mescolanza delle culture, i resti di una storia millenaria ed il confronto impietoso con la realtà.
C’è stato un momento della storia recente nel quale il popolo siciliano, sull’onda emotiva delle stragi del ’92 ha saputo reagire con forza.
Quel movimento ideale, quella “primavera” culturale sembrava finalmente dover rappresentare il definitivo riscatto.
Così come al tempo della riforma agraria il popolo siciliano seppe reagire con forza alla negazione dei più elementari diritti, la lotta per la ripartizione del latifondo ne fu un esempio emblematico.
Poi d’un tratto, col mutare della strategia mafiosa, con la Cosa Nostra che aveva deciso di optare per la normalizzazione dei rapporti di forza con lo Stato, quello slancio emotivo cominciò a venir meno.
Ecco che la lotta alla mafia, che pure ha sortito importanti esempi di emancipazione e di presa di coscienza del fenomeno cominciò a prendere un’altra direzione.
Ed è con la ritualità delle commemorazioni dei nostri martiri, i nostri santi laici da ricordare il 9 maggio, il 23 maggio, il 19 luglio e in tantissime altre giornate del calendario, che d’un tratto la lotta alla mafia ed al malaffare sembrò diventare affare per quanti avevano (od ostentavano) una certa sensibilità relativamente ad un fenomeno del “passato”.
Non ci si è interrogati abbastanza relativamente all’evoluzione del fenomeno.
Ed è nel dover constatare tristemente che certe pratiche, di certa “antimafia”, altro non sono che la cartina di tornasole di un cambiamento epocale anch’esso basato, così come la mafia, sulla prevaricazione, sulla contiguità del potere con la criminalità.
Ecco che tutto quanto riguardi il business diventa opaco, ecco che l’importante battaglia per l’energia rinnovabile diventa appannaggio quasi esclusivo di imprenditori senza scrupoli per il paesaggio, direttamente collegati al fenomeno criminale.
Ecco che parte della grande distribuzione nell’isola diventa affare per moltiplicare il denaro sporco di Matteo Messina Denaro.
Dall’altra parte della barricata chi dovrebbe con forza far prevalere le prerogative dello Stato si ritrova a determinare scelte scellerate nella migliore tradizione mafiosa.
Il caso Saguto e della discutibile gestione dei beni confiscati alla mafia è lì a darne inequivocabile esempio.
Ecco che il mercato e la gestione dei rifiuti, con annessa ciclica emergenza sulla pelle dei siciliani, subisce le volontà privatistiche di pezzi importanti di Confindustria Sicilia.
La stessa Confindustra che considerava deprecabili le prese di posizione di quel Libero Grassi che si opponeva alle estorsioni, al pizzo.
“Una cattiva pubblicità per l’impresa siciliana” quella di Libero Grassi, dicevano.
Era una visione parziale anche quella di padre Pino Puglisi, che ha lasciato un segno indelebile nella storia, il segno di chi con scrupolo, coscienza ed a viso aperto ha contrastato il cancro mafioso.
Componente di una Chiesa, tuttavia, che nell’isola ha le sue responsabilità sul fronte della contiguità con il potere criminale, è innegabile.
Ma quale colpa hanno i siciliani in tutto questo?
L’aver abbassato la guardia per troppo tempo, l’aver abdicato al proprio ruolo attivo nella gestione della cosa pubblica, delegando ad esponenti politici di dubbia moralità senza troppo curarsi.
Nell’aver chiuso un occhio relativamente al fatto che la gran parte delle scuole frequentate dai loro stessi figli non hanno certificati di agibilità e che in buona parte queste sono un business per quei privati che le hanno cedute all’Istituzione Pubblica in cambio di lauti affitti.
Sono siciliani quei piromani che hanno deciso di mandare in cenere pezzi di territorio, perchè anche su questa emergenza si può ottenere un tornaconto.
Nell’aver pensato, nell’ottica del “così fan tutti”, che stuprare le nostre coste fosse qualcosa di relativamente tollerabile.
Ecco che un Sindaco, di quest’ultimo scempio, diffuso lungo tutta l’isola, ha deciso di fare la sua battaglia.
Questo Sindaco ha sacrificato la sua libertà per una causa, una causa nobile e che gli fa onore.
Ha subito minacce, si è visto distruggere le sue proprietà ed ha deciso di andare avanti, a viso aperto.
Questo Sindaco è Angelo Cambiano, un siciliano come tanti altri ce ne sono, per fortuna.
Ha esercitato la sua funzione a Licata fino a qualche giorno fa, perchè Angelo Cambiano è stato sfiduciato da un Consiglio Comunale ottuso e che non ha saputo cogliere la forza del cambiamento, troppo impegnato forse ad accontentare i desiderata del proprio bacino elettorale.
E’ ad Angelo Cambiano che i siciliani onesti, devono pensare sperando in un futuro migliore per le nuove generazioni.
All’opera di riqualificazione urbana messa in campo a Favara nella “Farm Cultural Park”, un sogno di rivoluzione all’insegna della cultura e della mescolanza che nelle ultime settimane ha dovuto fronteggiare uno stupido accanimento da parte di certa burocrazia.
E’ alla trasformazione della Città di Palermo, oggi capitale della Cultura italiana, che dobbiamo pensare guardando al futuro.
Ma non avverrà alcun cambiamento se non saremo disposti, ognuno dal canto suo e con la sua storia, le sue competenze e la propria posizione, a dare un contributo.
Il giorno in cui, con o senza stanche commemorazioni, riusciremo a sedimentare dentro di noi gli esempi di quanti hanno dato la vita sull’altare di un sogno, il sogno del cambiamento in terra di Sicilia, ecco quel giorno saremo tutti un po’ meno ipocriti e certamente pronti per scrivere una grande pagina di riscatto”.
Dipende da noi.
Daniele Nuccio