Abbiamo assistito all’ennesima ferita del nostro Paese. Una sequela che diventa via via sempre più insopportabile. L’emblema di quest’ultimo sisma è la cattedrale di Norcia ridotta in macerie. Nel terremoto sono crollate centinaia di case, negozi, edifici di ogni genere, ma quella chiesa sventrata fa più male di ogni altro mucchio di rovine. Insomma, il dispiacere, seppur accorato, per gli sfollati che sono rimasti senza un tetto, un focolare, un luogo sicuro in cui tornare… quel dispiacere lo sentiamo, ma rimane lontano. Noi siciliani siamo, ci sentiamo lontani, in qualche modo, da quel che accade ai nostri connazionali del continente. Però quella chiesa crollata è loro, come è nostra. E non perché San Benedetto è patrono d’Europa, ma perché questa, essendo una chiesa antica al contempo è patrimonio artistico, spirituale, storico, antropologico e sociale per tutto il Paese. Crollando il duomo di Norcia, anche se non ci sono state vittime, i morti morali sono stati tantissimi. È morto di nuovo il progettista, sono morte ancora le maestranze, sono defunti per la seconda volta i finanziatori dell’opera e sono morti, un po’…,anche i tanti fedeli e le afflizioni confessate all’altare, i peccati segreti svelati nei confessionali, le grazie chieste e ricevute. Insomma, lo sfacelo di questo cataclisma ha violato non solo “le cose visibili”, ma anche quelle invisibili e perciò ritenute eterne. È questa eternità disattesa che disarma, che fa male a tutti, che ci invecchia e spegne le speranze … Sentimenti condivisi che ci fanno sentire un popolo unito.
Ma il nostro è il Paese delle contraddizioni. Così, se ci affliggiamo per il duomo di San Benedetto in frantumi, nemmeno ci avvediamo del terremoto lento che da anni intacca, pian piano, una chiesa che si erge nel cuore di Marsala. Mi riferisco a San Giuseppe, tra via XI Maggio e via Cammareri Scurti. Io conservo un vago ricordo di quando era aperta. Ci andavo da bambina con mia nonna. Ho avuto il privilegio di vederne l’interno di nuovo due anni fa, quando la splendida chiesa – grazie alla disponibilità e benevolenza dell’arciprete padre Giuseppe Ponte – fu al centro di un progetto di comunicazione che mi vide insegnante esterna al Liceo Classico “Giovanni XXIII”. Il fascino della chiesa resta immutato, ma il tempo ha lasciato il suo segno poco gentile, sfocando i meravigliosi affreschi e soprattutto minando alla stabilità della struttura. Una grossa crepa ne fende l’arcata principale. Per questo è chiusa al pubblico. Immaginiamo per un attimo che questa pericolosa incrinatura fosse stata provocata non dall’indifferenza dei governi, ma da un sisma. Staremmo tutti a disperarci per il patrimonio a rischio. Ma siccome la causa è un’altra, nemmeno ci accorgiamo di quello che ogni giorno di più si consuma innanzi ai nostri occhi non curanti. Quello che accade è un terremoto invisibile. Parlando del centro Italia Renzi ha detto: “Ricostruiremo tutto”, ma qui basterebbe non lasciar crollare, dare un segno d’interesse, sicuramente molto meno costoso e anche più fruttuoso di una riedificazione. L’augurio è che chi siede a Sala delle Lapidi si affacci e veda, che l’amministrazione comunale si interessi, che i vertici della curia facciano sentire la propria voce, ma anche che i cittadini sappiano esercitare la propria cittadinanza che qui, in Italia, non può essere scissa dal nostro patrimonio storico e artistico.