Placido Rizzotto e il sindacalismo che non c’è

Vincenzo Figlioli

Apertura

Placido Rizzotto e il sindacalismo che non c’è

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venerdì 11 Marzo 2016 - 06:35

Ieri Corleone ha ricordato Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo del 1948. La sua è una storia nobile, che rimanda a una stagione in cui il sindacalismo siciliano fu davvero in prima fila per l’emancipazione delle masse e per i diritti dei braccianti agricoli contro la prepotenza di Cosa Nostra. Una stagione in cui trovano spazio anche i nomi del marsalese Vito Pipitone, di Accursio Miraglia, Salvatore Carnevale e altri 40 sindacalisti che tra il 1944 e il 1948 caddero sotto i colpi dei killer mafiosi.

Doveroso ricordare dunque il contributo sociale e civile delle loro lotte, così come quelle di tanti altri sindacalisti che hanno seriamente lottato per la crescita democratica del Paese. L’impressione, però, è che nel sindacalismo italiano contemporaneo si faccia fatica a trovare tante tracce di continuità rispetto al glorioso passato. Difficile vedere un legame tra il coraggio di Placido Rizzotto, la sobrietà di Luciano Lama e la pensione di 336 mila euro l’anno dell’ex segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Per non parlare di tutti coloro che hanno utilizzato il sindacato come un taxi per un successivo ruolo politico finendo, una volta eletti, per somigliare agli stessi amministratori che per anni sono stati oggetto delle loro feroci contestazioni.

Troppo spesso abbiamo visto i sindacati impegnati a combattere battaglie stagionali, oscillando tra successi immediati (magari concordati sottobanco con gli interlocutori che si fa finta di attaccare) e mera testimonianza. Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, quello che sta mancando di più in questo momento è la capacità di incidere sulla contemporaneità. Basterebbe che certi dirigenti chiedessero ai giovani disoccupati o al popolo delle partita Iva se si sentono tutelati per capire da dove ripartire. Al di là di tutto, restiamo convinti che il sindacalismo sia un patrimonio importante per un Paese democratico. Ma occorre che sappia davvero guardarsi dentro per cambiare se stesso prima di poter provare, se ne ha ancora voglia, a cambiare le cose.

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