Immaginiamo il Pd siciliano intento a guardare se stesso. Immaginiamolo davanti uno specchio mentre si sta vestendo: una giacca blu che fa tanto Partito della Nazione (ma evitando il doppiopetto berlusconiano), una cravatta rossa per ricordare i tempi di Pio La Torre, scarpe di marca per compiacere gli industriali “radical chic”, barba e capelli un po’ sbarazzini per mimare un’idea di moderata freschezza. Lo immaginiamo ancora mentre prova a ostentare sicurezza utilizzando qualche bel termine anglosassone che tanto piace al popolo delle partite Iva (“brand”, “step”, “full immersion”, “brain storming”…). E poi lo immaginiamo mentre legge sul suo smartphone i titoli dei giornali di questi giorni, con Cuffaro che dice che i suoi vecchi amici sono ormai tutti nel Pd e il segretario regionale Raciti che sospende il tesseramento. Ci piacerebbe vederlo sobbalzare, il Pd. Mettersi le mani tra i capelli e dire a se stesso: “Ma che stiamo facendo?”. Comunque la si pensi, nel Pd siciliano c’è l’eredità di una parte importante della storia politica di questa terra. Ma alla domanda “Cosa vogliamo essere?”, i democratici siciliani non hanno mai saputo dare una risposta chiara. Da un lato citano Piersanti Mattarella e Pio La Torre (innovatori nei fatti, prima che nelle parole), dall’altro si affannano a mettere dentro gli eredi del cuffarismo, i vecchi scudieri di Raffaele Lombardo e un po’ tutto quello che può tornare utile al risultato supremo: la vittoria elettorale. Molto di loro dimenticano che un trionfo alle urne può trasformarsi in una “vittoria di Pirro”. Se guardiamo a Palermo, come possono far parte dello stesso partito coloro che vorrebbero scardinare le posizioni di potere della burocrazia regionale e coloro che le hanno costruite? Nel trapanese, poi, fatichiamo ancora a immaginare nello stesso partito – per fare un esempio – Paolo Ruggirello e Giacomo Tranchida. E chissà che anche il sindaco di Marsala Alberto Di Girolamo e il suo recente sfidante Massimo Grillo non si ritrovino entrambi tra le fila dei democratici. Sarebbe sbagliato pensare che il Pd per tutelare se stesso dovrebbe rifugiarsi esclusivamente nel suo passato. Ma se al di là delle vittorie si vuole anche il cambiamento, l’apertura dovrebbe avvenire verso le tante energie valide cresciute in questi anni in Sicilia (nonostante il mal governo). Altrimenti siamo all’ennesima riproposizione del Gattopardo. E chi va al voto con la speranza di cambiare le cose, finirà inesorabilmente per puntare su altri simboli, lasciando il Pd siciliano da solo, davanti al suo specchio, mentre ripete a se stesso di essere il partito che non è.
Giudiziaria