Lettere minatorie, minacce verbali, messaggi su Facebook. Ma anche atti vandalici e pestaggi. Non è facile fare il giornalista al Sud. Non lo era ai tempi di Pippo Fava, Mauro Rostagno e Beppe Alfano. E non lo è adesso. Anno dopo anno, si allunga l’elenco dei cronisti e dei blogger oggetto delle attenzioni della criminalità. Torniamo a parlarne perché in questi giorni abbiamo avuto modo di leggere la storia di Paolo Borrometi, corrispondente dell’agenzia Agi e direttore del portale “La Spia”.
Già aggredito vicino casa alcuni anni fa, Paolo Borrometi adesso si è ritrovato la propria pagina Facebook invasa dai messaggi di Venerando Lauretta. Già in carcere per associazione mafiosa e adesso denunciato assieme al figlio per minacce dal giornalista modicano, Lauretta ha deciso di scrivere sul diario virtuale di Paolo Borrometi una serie di frasi dal contenuto a dir poco esplicito: “Il tuo cuore verrà messo nella padella e dopo me lo mangerò”; “Ora vai a denunciarmi, voglio pagare il reato che commetto su di te”; “Ti devo accecare con le dita. Non ti salva neanche Gesù Cristo”.
Storie come queste, purtroppo, sono più frequenti di quanto si immagini. E quando non sono i mafiosi, sono le lettere degli avvocati – spesso pretestuose e temerarie – a minacciare la serenità del quotidiano lavoro redazionale nel tentativo di spegnere ricostruzioni poco gradite o pilotare il racconto del territorio ad uso e consumo del potente di turno. Anche noi, a tal riguardo, abbiamo il nostro bel da fare. Forse ne parliamo meno di quanto dovremmo, ma fa parte dello stile che abbiamo deciso di seguire in questi anni: scrivere poco su di noi e quanto più possibile su quello che accade intorno a noi.
Non conosciamo Paolo Borrometi, ma possiamo immaginare il suo stato d’animo. In questi anni abbiamo avuto modo di conoscere magistrati, imprenditori e giornalisti che ogni giorno devono far appello a tutte le proprie forze per resistere alle pressioni esterne a cui sono sottoposti. In fin dei conti, non farebbero nemmeno nulla di speciale: fanno il loro lavoro, interpretando nel migliore dei modi il loro ruolo civico. Non vanno idolatrati, non serve. Ma soprattutto, non vanno isolati. La cosa bella dei nostri tempi, è che la rete ci consente di conoscere più frequentemente storie di frontiera come quella di Paolo Borrometi e, conseguentemente, di poter far arrivare la nostra solidarietà e il nostro supporto.
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