Alcamo l’araba o fangosa, dove la poesia italiana nacque con Ciullo

redazione

Alcamo l’araba o fangosa, dove la poesia italiana nacque con Ciullo

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mercoledì 13 Agosto 2025 - 07:00

Alcamo è una città di quasi 44.000 abitanti situata nel cuore del Golfo di Castellammare, in provincia di Trapani, a 256 metri sul livello del mare, alle falde del suggestivo Monte Bonifato, alto 825 metri. La posizione geografica, al centro tra Palermo e Trapani, ha sempre conferito ad Alcamo un ruolo strategico e commerciale, rendendola nei secoli crocevia di culture e civiltà.

Le origini

Secondo alcune fonti storiche, la fondazione di Alcamo risale all’anno 828, ad opera del comandante musulmano al-Kamuk, dal cui nome deriverebbe appunto “Alqamah”, “Alquam” o “Alcamo”. Tuttavia, l’etimologia rimane incerta: alcuni studiosi propendono per “terra fangosa” (Alquam), altri per “Marzil Alqamah” (casale di Alqamah). C’è chi colloca la fondazione araba più avanti nel tempo, intorno al 972, a più di un secolo dallo sbarco dei Saraceni a Mazara del Vallo (827) e dopo la definitiva conquista di Taormina (902), che segnò la fine del dominio bizantino in Sicilia. Quel che è certo è che sul Monte Bonifato esisteva già dal V secolo una popolazione cristiana, successivamente sottomessa dagli Arabi. La guerra tra Bizantini e Saraceni fece di questi luoghi un terreno conteso. Oggi restano solo ruderi a testimonianza della presenza araba sulla montagna: una torre in rovina e l’antico serbatoio d’acqua della Funtanazza. Questo piccolo villaggio montano venne completamente abbandonato dalla seconda metà del XIV secolo, quando la popolazione si spostò definitivamente a valle.

La testimonianza di Edrisi e i primi documenti

Il primo documento scritto che menziona Alcamo risale al 1154, e si trova nel celebre “Libro di Ruggero”, opera del geografo arabo Edrisi commissionata dal re normanno Ruggero II. Edrisi descrive Alcamo come un “mazil”, un piccolo casale con terre fertili e un mercato, situato a un miglio e mezzo da Calatubo. Nel 1185 un altro resoconto, quello del pellegrino andaluso Ibn Jubair, conferma l’origine araba del borgo: il viaggiatore definisce Alcamo una “beleda”, ovvero un centro abitato dotato di moschee e di un mercato. Si tratta dunque di una cittadina pienamente inserita nel tessuto islamico dell’epoca.

I Normanni, la svolta cristiana e il periodo aragonese

L’arrivo dei Normanni, a partire dal 1060, segnò un passaggio epocale per Alcamo. Il centro storico, diviso nei quattro casali di San Vito, San Leonardo, Sant’Ippolito e San Nicolò, era ancora abitato da musulmani. Ma tra il 1221 e il 1243, a causa di ripetute rivolte saracene, Federico II di Svevia (re tra il 1230 e il 1250) ordinò la deportazione della popolazione araba. I casali vennero progressivamente cristianizzati. Proprio in questo periodo, nel cuore del XIII secolo, sarebbe nato uno dei primi poeti della letteratura italiana: Ciullo d’Alcamo, autore del celebre “Contrasto” dal titolo Rosa fresca aulentissima. Sempre nello stesso secolo, agli abitanti del Monte Bonifato fu ordinato di trasferirsi a valle, unendosi alla comunità alcamese. Si consolidò così un’unica identità urbana, più accessibile e strategica rispetto alla difficile vita montana. Con la dominazione aragonese, Alcamo visse un periodo di prosperità e sviluppo. La fusione tra le popolazioni a valle e i discendenti dei coloni montani generò un tessuto sociale più compatto. In questo contesto si inserisce la costruzione, intorno al 1350, del magnifico Castello dei Conti di Modica, anche detto castello dei Chiaromonte, dotato di quattro torri, due circolari e due quadrangolari. Esso fu edificato sotto la dominazione dei Ventimiglia, una delle famiglie feudali più potenti della Sicilia. Alcamo divenne un feudo importante ma soggetto ai tipici alti e bassi del sistema feudale medievale, con periodi di pesante tassazione e altri in cui ritornava al controllo diretto della Corona. Nel XIV secolo, Alcamo contava circa tremila abitanti, molti dei quali provenienti da altre zone della Sicilia e della penisola italiana. Nei documenti notarili del tempo venivano indicati come habitatores.

Mura, chiese e cultura ma anche tempo di contrasti

Nel XV secolo Alcamo divenne un importante centro per il commercio del frumento nell’area occidentale della Sicilia. Attorno al 1500, il capitano Ferdinando Vega impose un rigido controllo dell’ordine pubblico e lottò contro le incursioni dei pirati turchi, minaccia costante per le coste siciliane. In questo periodo Alcamo si dotò di mura difensive alte e robuste, accessibili tramite quattro porte: Porta Palermo, Porta Corleone, Porta di Gesù e Porta Trapani. Dopo il passaggio dell’imperatore Carlo V nel 1535, furono aperte nuove porte monumentali: Porta Stella, Porta Nuova, e le nuove Porta Trapani e Porta Palermo, agli estremi dell’attuale corso VI Aprile, all’epoca chiamato Corso Imperiale. Il Cinquecento fu anche un periodo di fioritura culturale. Alcamo vantava scuole e intellettuali, tra cui il poeta Sebastiano Bagolino. L’evento più rilevante dal punto di vista religioso fu l’apparizione della Madonna dei Miracoli (1547), tuttora venerata come patrona cittadina. Tuttavia, tra il 1574 e il 1575, una devastante epidemia di peste colpì la città, decimando la popolazione. I morti vennero sepolti nel cimitero di Sant’Ippolito, poi trasformato in campo sportivo nel XX secolo.

Dal Seicento al Settecento: arte e contrasti. Poi il Risorgimento

Il XVII secolo fu segnato da nuove ondate di peste e moti popolari. Alcamo cambiò nuovamente signoria: nel 1614 venne venduta da Vittoria Colonna a Pietro Balsamo, principe di Roccafiorita, per 2.000 scudi. Nel Settecento Alcamo visse un periodo di rinnovato splendore. Nel 1798 la popolazione raggiunse i 13.000 abitanti. Si costruirono nuove chiese e si abbellirono quelle esistenti. La Chiesa Madre, progettata da Angelo Italia e Giuseppe Diamante, fu affrescata dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans. Altri capolavori artistici sorsero nella chiesa di S. Oliva, nel Collegio e nella monumentale chiesa dei SS. Paolo e Bartolomeo. Nel 1667 l’architetto Mariano Ballo fondò anche un teatro cittadino, il Teatro Ferrigno, oggi Teatro Cielo d’Alcamo, restaurato e ancora in attività. Nel XIX secolo Alcamo visse tra slanci patriottici e crisi sociali. Nel 1802 divenne demanio regio e partecipò attivamente alle vicende del Risorgimento italiano. Gli alcamesi furono protagonisti delle rivolte del 1812, 1820, 1848 e 1860. Famiglie come i Romano, i Fazio e i Triolo di Sant’Anna guidarono l’insurrezione. Il 6 aprile 1860 i fratelli Stefano e Giuseppe Triolo issarono il tricolore sul palazzo comunale e organizzarono volontari a sostegno di Garibaldi, che ad Alcamo emanò alcuni decreti per conto del re Vittorio Emanuele II. Nel 1897 fu inaugurata l’illuminazione pubblica in occasione della festa della Patrona.

Guerre, fascismo e ricostruzione sino ad oggi

La Prima guerra mondiale costò ad Alcamo la vita di circa 400 cittadini. A ciò si aggiunsero inflazione e miseria. Nel 1918, la pandemia influenzale detta “spagnola” causò altri 500 morti. Durante il ventennio fascista, la città chiese invano di diventare capoluogo di provincia. Il cimitero di S. Ippolito venne trasformato nel campo sportivo Don Rizzo. La Seconda guerra mondiale provocò 213 vittime tra morti e dispersi. Gli Americani entrarono ad Alcamo il 21 luglio 1943 senza incontrare resistenza. Un anno dopo, il 18 dicembre 1944, il disagio sociale ed economico spinse la popolazione a insorgere, occupando il municipio e bruciando gli archivi. Nel corso degli ultimi decenni Alcamo ha conosciuto un importante sviluppo. Alle storiche attività di agricoltura e artigianato si sono aggiunte imprese commerciali, industriali e di servizi.

Ciullo d’Alcamo

Ciullo d’Alcamo: la voce del primo vero poeta

Una delle figure più affascinanti della storia culturale alcamese è sicuramente Ciullo d’Alcamo – o Cielo d’Alcamo, come venne poi chiamato nei secoli successivi. Poeta-giullare del XIII secolo, Ciullo è l’autore del “Contrasto” Rosa fresca aulentissima, uno dei più antichi e celebri componimenti in volgare italiano. Il suo nome appare solo nel codice Vaticano 3793, attribuito dal cinquecentista Angelo Colocci. Il componimento è un vivace dialogo amoroso in forma teatrale tra un giovane innamorato e una donna ritrosa, che alla fine cede alle sue insistenze. Il testo mescola il registro comico con quello lirico, in una lingua che già anticipa la Scuola Siciliana, il movimento poetico fiorito alla corte di Federico II di Svevia. L’identità di Ciullo rimane in parte misteriosa. Il suo vero nome potrebbe essere Vincenzullo, oppure Michele (Cheli), da cui deriverebbero i nomi Celi o Cielo. Tuttavia, molti studiosi concordano sull’origine alcamese del poeta, tanto che la città gli ha dedicato il teatro e il liceo classico. Citato anche da Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, Ciullo rappresenta la testimonianza più vivace di una Sicilia colta e raffinata nel cuore del Medioevo. La sua opera non è solo una reliquia letteraria, ma anche un simbolo dell’identità linguistica e culturale dell’isola, e in particolare di Alcamo, che con lui entra a pieno titolo nella storia della letteratura italiana.

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