La drammaticità dei femminicidi, che continua a colpire la società italiana, è diventata ormai una realtà sconvolgente, tragica e inaccettabile. La morte di Ilaria Sula e Sara Campanella, due giovani donne di appena 22 anni, è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di violenze che mettono a nudo una problematica sistemica e radicata. Ilaria, uccisa dall’ex compagno, e Sara, vittima di uno stalker, un collega universitario, hanno rappresentato i simboli di una settimana nera che ha scosso il Paese. Ma quella settimana non è un caso isolato. È solo l’ennesima settimana nera, un altro triste episodio che segue una lunga scia di sangue. Nei primi tre mesi del 2025, sono già 17 i femminicidi registrati. Un numero che continua a crescere, nonostante i numerosi sforzi per fermare la violenza di genere. L’Italia, da nord a sud, si trova a dover affrontare un’emergenza nazionale che riguarda la violenza contro le donne, le cui cause non sono solo individuali, ma si radicano in un sistema culturale che, troppo spesso, perpetua l’idea che la donna sia in una posizione gerarchicamente inferiore rispetto all’uomo.
Il fenomeno della violenza di genere non è una semplice questione di singoli atti di aggressione, ma una manifestazione di un malessere più profondo, che riguarda la costruzione culturale dell’identità di genere e la visione patriarcale che ancora permea la nostra società. Si dice spesso. Un’ideologia che trova il suo fondamento in un sistema di credenze che perpetua la figura dell’uomo come dominatore e della donna come soggetto da controllare. La virilità tossica trova sovente la propria autoaffermazione in comportamenti di sopraffazione, alimentati dalla convinzione che l’uomo debba esercitare potere, e che la donna debba subire quotidianamente e al di là delle aggressioni fisiche. Perchè purtroppo questi atteggiamenti si manifestano in diversi modi.
Queste convinzioni non nascono dal nulla, ma sono il risultato di secoli di storia e di tradizioni che legittimano il dominio maschile. Basta guardare al linguaggio, che ancora oggi non riflette un’uguaglianza di genere. Il maschile, infatti, viene usato per includere sia uomini che donne: possiamo parlare di “uomo” per indicare sia l’individuo maschile che l’essere umano in generale. Al contrario, non succede mai. Inoltre, il termine “omicidio” viene usato indistintamente per ogni caso di uccisione, senza considerare le motivazioni che si celano dietro alla morte di una donna rispetto a quella di un uomo. Da qui il termine femminicidio. Un’umanizzazione della donna che resta sempre in secondo piano, come se la sua vita avesse meno valore rispetto a quella di un uomo.
Anche nella religione, gli archetipi maschili sono predominanti. Da Adamo ed Eva a Zeus che crea la donna come punizione per gli uomini, le icone maschili sono quasi sempre al centro della narrazione. Le donne sono rappresentate come figure sottomesse, derivate da un atto divino di creazione, sempre subalterne, quasi sempre in una condizione di dipendenza. Queste convinzioni, sia negli uomini che nelle donne, alimentano un circolo vizioso che porta a giustificare comportamenti violenti o, peggio, a tollerare la violenza come parte di una normalità sociale. Le tendenze primitive, che sono ancora radicate nel nostro inconscio, spingono una parte degli uomini a vedere la sessualità come un atto di dominanza e a considerare la donna come un oggetto da possedere, mentre le donne, invece, spesso interiorizzano il concetto di sottomissione e paura. Ma la vera caratteristica dell’essere umano è la capacità di amare in modo paritario. La cultura e i singoli individui devono educarsi a coltivare questa capacità, anziché alimentare convinzioni tossiche che legittimano il dominio maschile.
Il sistema culturale dominante, purtroppo, troppo spesso favorisce l’idea della sottomissione femminile e della superiorità maschile, giustificandola attraverso le ideologie, le leggi, la religione e altri mezzi di controllo sociale. La cultura occidentale, che teoricamente riconosce l’uguaglianza tra uomini e donne, nella pratica non promuove un cambiamento radicale nella mentalità collettiva. Piuttosto, spesso perpetua le convinzioni più arcaiche, quelle che vedono nella donna un essere inferiore, da controllare, da dominare. Tutto ciò non solo incide negativamente sulle vittime di violenza, ma ha anche un impatto devastante su tutta la società. La lotta contro i femminicidi non può essere vinta solo con leggi più severe o con una maggiore repressione della violenza. È un cambiamento culturale che deve partire dalla radice, dall’educazione, dalla consapevolezza che l’uguaglianza tra i sessi non è solo un diritto, ma un dovere che riguarda tutti noi. Solo così, attraverso un cammino di evoluzione e crescita collettiva, sarà possibile arginare questa piaga sociale che continua a mietere troppe vittime innocenti.