La notizia di Gibellina Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea ha acceso improvvisamente gli entusiasmi della politica siciliana e un certo orgoglio della comunità trapanese. Lunga la lista di amministratori e rappresentanti politici che hanno esultato, lo scorso 31 ottobre, in seguito all’annuncio del ministro per la cultura, Alessandro Giuli. Hanno esultato, soprattutto, quanti hanno seguito nel tempo le vicende di Gibellina, strettamente collegate alla figura di Ludovico Corrao. Senza di lui, è bene sottolinearlo, il titolo di Capitale dell’Arte Contemporanea non sarebbe mai approdato nel Belice, finendo per arricchire la storia di altre località (Carrara, Gallarate, Pescara o Todi). Perchè bisogna essere autorevoli e visionari per convincere i più grandi artisti italiani (Consagra, Guttuso, Pomodoro, Isgrò, Burri) ad innamorarsi di un progetto come quello che Corrao aveva immaginato per la sua città, devastata dal terremoto del ’68. Bisogna essere temerari e pragmatici per resistere allo scetticismo iniziale dei tuoi concittadini, al provincialismo di una certa politica, al fatalismo che la Sicilia si porta sempre dietro.
La storia di Gibellina ci ricorda un principio che dovrebbe accompagnarci più spesso: non è detto che vincano sempre il Gattopardo e la rassegnazione, persino in Sicilia. Ci sono semi che attecchiscono subito, altri che danno i loro frutti nel tempo. Ma se si è convinti della bontà di un progetto vale sempre la pena andare avanti. Purtroppo, di gente come Ludovico Corrao la Sicilia ne ha avuta veramente poca. Tanti, troppi amministratori hanno preferito concentrarsi sulla gestione del proprio consenso, limitandosi a un mediocre governo dell’esistente. Hanno puntualmente snobbato l’arte e la cultura. O, al massimo, le hanno utilizzate per mere ragioni di propaganda. Hanno lasciato chiusi per anni i teatri, i musei, i siti archeologici, dirottando le risorse economiche su altre (presunte) priorità. Hanno isolato o emarginato le menti più brillanti delle proprie città, temendo che facessero loro ombra e inducendole all’emigrazione verso altre regioni o altri Stati. Con la loro inedia hanno alimentato una (sotto)cultura reazionaria, che continua a indurre una parte consistente della popolazione a guardare con fastidio qualsiasi innovazione, che si tratti di monumenti di arte contemporanea o progetti di rigenerazione urbana, piste ciclabili o Ztl.
Un circolo vizioso che ha consegnato la provincia di Trapani (e altre aree della Sicilia) ad occupare gli ultimi posti nelle classifiche nazionali sulla qualità della vita, nonostante le sue innegabili potenzialità. Il riconoscimento che è adesso arrivato a Gibellina ha, dunque, il merito di ricordarci che il cambiamento è possibile: bisogna immaginarlo e volerlo davvero. Avremmo solo bisogno di qualche Ludovico Corrao in più.