Si è parlato tanto di come sarebbe stato questo Natale 2020. Lo abbiamo atteso attingendo a un vocabolario per certi versi inedito, che comprendeva parole insolite: lockdown, distanziamento, contenimento, coprifuoco, assembramenti… Un anno fa, di questi tempi, mai lo avremmo immaginato. Ma forse nemmeno l’estate scorsa, quando per qualche settimana, abbiamo cullato con un pizzico d’incoscienza l’idea che la pandemia fosse ormai alle spalle. Inutile negarlo, la libertà è un privilegio sacro, di cui ognuno fa fatica a privarsi. Per ordine di importanza può essere considerato secondo solo alla vita. Proprio quella vita che forse, mai come quest’anno, siamo tornati a tutelare, cominciando a darla meno per scontata.
Abbiamo imparato che possiamo perdere i nostri affetti più cari senza rendere loro il conforto di un’ultima carezza. Abbiamo dovuto rinunciare, nostro malgrado, a partecipare ai funerali di amici o conoscenti cui, in condizioni normali, saremmo senz’altro andati a rendere l’estremo saluto. Abbiamo imparato a lavarci continuamente le mani, a convivere con mascherine di vario tipo, a modulare il nostro respiro e la nostra voce in maniera diversa, a coltivare la nostalgia per certi sorrisi inattesi che alleviavano le fatiche della routine quotidiana. Abbiamo capito che l’affetto per i nostri cari non si misura dal numero di baci o abbracci che ci scambiamo (per quanto se ne possa sentire la mancanza) ma dalla cautela che riserviamo loro negli ormai rari momenti di condivisione. Abbiamo rinunciato a gran parte di quelle occasioni che impreziosivano il nostro tempo libero: le serate con gli amici, i viaggi, il cinema, il teatro, l’arte.
Abbiamo (forse) imparato che c’era chi viveva tante, troppe privazioni già da prima della pandemia, senza raccogliere l’attenzione che avrebbe meritato.
Siamo tornati a comprendere che dovremmo pretendere una sanità pubblica moderna e funzionante, servizi sociali capaci davvero di aiutare chi è rimasto indietro e una scuola all’altezza del ruolo cruciale che riveste per le nuove generazioni e, più in generale, per il futuro del Paese.
A fronte di tutto ciò, ci ritroviamo a trascorrere queste feste in maniera insolita, davanti a una tavola che ha colori e profumi simili al passato, ma meno commensali. Nella nostra Sicilia, terra di esodi e migrazioni, ci sono tante famiglie che loro malgrado hanno rinunciato alla tradizionale riunione natalizia, brindando a distanza dalle proprie città d’adozione. Ci sono tante sedie vuote, che torneranno a riempirsi, magari già in primavera. E altre che resteranno vuote per sempre, perchè i 70.900 deceduti quest’anno per il Covid in Italia non sono semplici numeri, ma donne e uomini con precise identità, spesso prematuramente strappati all’affetto dei propri cari. A ben vedere, la più grande tristezza è proprio la loro. E pur consapevoli delle libertà temporaneamente perdute, non dovremmo smarrire la consapevolezza che poter comunque condividere il pranzo di Natale con i nostri congiunti resta una grazia per nulla scontata.