A distanza di due anni dal suo ultimo progetto solista, Joe BlackDock – alias Peppe Titone – torna sulla scena con “Entropia” (ASCOLTA QUI), un EP che si presenta come un vero e proprio concept dedicato al caos, al disordine esterno che finisce per modellare quello interiore. Un lavoro che arriva dopo il mixtape pubblicato nel 2024 in coppia con Pascal, e che segna il ritorno dell’artista in una dimensione personale, matura, profondamente introspettiva. “Entropia” è attraversato da una sorta di utopia disturbata, un viaggio che parte da un malessere quotidiano e arriva a una presa di coscienza: anche quando la realtà frastorna, è possibile trovare un proprio equilibrio. O almeno tentare di farlo.

L’apertura è affidata a “Mood”, traccia che orienta subito l’ascoltatore nella direzione concettuale dell’EP. «Il colpevole alla fine del giorno lo trovi sempre», recita Joe BlackDock, e il verso risuona come una fotografia perfetta delle dinamiche sociali contemporanee, dove la ricerca del responsabile è sempre più un riflesso condizionato. Una critica che diventa ancora più tagliente quando l’artista cita quella “TV–spazzatura” che lascia addosso un “vuoto cosmico”. La successiva “Chaos” entra in scena con un suggestivo intro di violini, che apre a un crescendo ritmico serrato: una vera onda d’urto. Qui la “lingua che non smette di tessere” si fa simbolo di un mondo in cui la comunicazione è continua, frenetica, spesso distruttiva. E come Joe stesso suggerisce, “a nessuno piace stare in bilico”, eppure è proprio lì che siamo costretti a muoverci ogni giorno.
Toni più cupi e attitudine quasi old school in “Madonna”, un brano che affonda le radici nel rap d’antan senza mai imitare nessuno – nemmeno Fibra, pur ricordandolo nella foga dialettica. È un pezzo scettico, osservativo, lucido, che mette a fuoco immigrazione, ipocrisie, bigottismi ed esaltazioni: tutto ciò che, agli occhi dell’artista, contribuisce a generare un caos sociale inarrestabile. “Tipo nel chill” è invece la parentesi più melodica dell’EP: “tra i palazzi che accarezzano il cielo“, Joe BlackDock si muove con una delicatezza nuova, raccontando un contesto urbano che può essere tanto soffocante quanto poetico. Segue “Downey”, una traccia calda e intrigante, dal mood quasi Neffa. “Sono Robert Downey perché ho il destino nelle mie mani”: non un supereroe, ma un uomo che rivendica la propria autodeterminazione. Una dichiarazione che anticipa la sincerità emotiva del brano successivo. In “Le canzoni che mi fanno pensare a te”, Joe confessa: “vorrei saper scrivere” quelle canzoni che lasciano il segno. Ma lo fa già, eccome – e meglio di tanta scena rap commerciale che insegue trend più che emozioni. Un pezzo intimo, che dimostra quanto l’artista sappia variare registro senza perdere identità.
Con “Cinema Purgatorio” ci si sposta in una dimensione quasi cinematografica, nonostante – come precisa l’artista – non si tratti di un film, ma della vita vera. I campionamenti sono leggeri, calibrati, mentre il brano cresce verso un ritornello memorabile: “a metà tra paranoia e baci in bocca“. Una sintesi perfetta della poetica di “Entropia”: tensione e umanità intrecciate. L’EP si conclude con la title track “Entropia”, che raccoglie l’intero senso del progetto: il caos dentro e fuori, l’ansia che si mescola al bisogno di trovare una strada, il tutto immerso in un sound underground fatto di trame elettroniche e atmosfere distorte. È la chiusura ideale di un lavoro coerente, ambizioso, dall’identità forte. Con “Entropia”, Joe BlackDock firma uno dei suoi progetti più maturi: un racconto critico e personale della contemporaneità, dove il caos non è più solo un concetto scientifico, ma una lente attraverso cui osservare il mondo e sé stessi. Un EP da ascoltare dall’inizio alla fine, perché solo così rivela davvero la sua profondità. E soprattutto, un segnale netto: Joe BlackDock è tornato, e ha molto da dire.