Disponibile su Netflix, “Adolescence” è una miniserie che, solo apparentemente, segue un ritmo lento e poco mordente.
In realtà, l’optare per una regia che prevede il piano sequenza in ognuno dei 4 episodi, è stata una buona scelta atta al risultato, propedeutica alla narrazione e soprattutto d’impatto.
La trama è un invito su due fronti.
Da un lato, vuole offrire uno sguardo al mondo degli adolescenti, difficilmente accettabile, ma che necessariamente dobbiamo assimilare: ci siamo transitati tutti e tutti abbiamo fatto parte di quel passaggio psicologico e relazionale “alieno”, in cui nemmeno noi eravamo consapevoli di ciò che ci circondava e stavamo facendo.
Un universo fatto di una serie di “regole sociali” dettate dall’immaturità, dalla crescita e dall’inesperienza, senza chiari confini tra giusto e sbagliato.
L’altro ambito affrontato è quello genitoriale, con un dialogo finale potentissimo e più che esplicativo.
È colpa loro se il figlio è un assassino? Il padre poteva essere meno severo? La madre poteva essere più attenta? C’era qualche segnale premonitore, un episodio, un fattore scatenante? Hanno fatto abbastanza per crescerlo o ci sono state delle mancanze?
Domande angoscianti e sensi di colpa che tutti i genitori in alcune situazioni inevitabilmente si pongono.
Le risposte non sono sempre facili.
Devo congratularmi con Camilla Marino per la chiarezza e l’efficacia con cui ha scritto l’articolo e soprattutto per il video che, insieme alla miniserie Adolescence, farei girare per le scuole e nei luoghi dove si discute e si prendono iniziative sulle questioni che riguardano non solo i giovani in quanto tali ma anche per l’atteggiamento razionale che deve assumere la società oltre che i necessari provvedimenti che vanno adottati dalle istituzioni nei loro confronti, che devono sempre essere informati alla garanzia e alla crescita delle potenzialità di cui non si può fare a meno. Filippo Piccione