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Il silenzio e il canto della gazza nella poesia di Flora Restivo

Dopo essersi segnalata come una delle voci più interessanti della poesia dialettale di area trapanese, con le due sillogi Ciatu e Po essiri, Flora Restivo raccoglie nel recente volumetto Il ruvido canto della gazza (Giuliano Ladolfi editore, pp.86, 2022, euro 10) la sua produzione in lingua, in qualche modo collaterale alle prove in vernacolo. E non c’è forse verso più preciso, aspro, “ruvido” di quello di una gazza – che nella sua dualità simbolica può rappresentare sia la buona che la cattiva sorte – per richiamare i testi di questa raccolta, scanditi perlopiù da un silenzio a volte intimo e complice, a volte invece cupo e doloroso. Non è però la gazza nera e ridente di Quasimodo, quella evocata nel titolo dall’autrice trapanese, ma piuttosto una sorta di basso continuo per accompagnare, appunto, quel silenzio.

Flora Restivo

Come scrive molto puntualmente Maria Lenti in prefazione: In soluzione senza continuità il silenzio si connota del tempo in perdita, delle persone care non più vicine, delle voci di queste anime stampate dentro, in un cuneo d’amore interiore, nei gesti dimidiati dalle stagioni dei giorni delle ore, nelle immagini esterne che corrono e scorrono a richiamo e a saluto di un commiato inderogabile nella sua piega. Nominato o detto per allusione, il silenzio con le sue ombre (ricordi), i suoi interrogativi (su chi decida le sottrazioni), le indubitabili conferme (l’erosione esistenziale), i sogni d’azzardo, la domanda inevasa, con la sua immutabilità permea questa raccolta”.

Che si tratti, infatti, di accensioni liriche o di richiami memoriali, di presagi e di piccole illuminazioni quotidiane, di sfumati confini e di paesaggi interiori o di sofferte elaborazioni di un lutto privato (il libro è esplicitamente dedicato all’“unica figlia Stefania” prematuramente scomparsa), Flora Restivo ci consegna un resoconto mai pacificato, sempre inquieto e sempre sfuggente, dal momento chenon ha ripari / il deserto / che percorro” e la stessa voce del poeta in ogni testo, sotto un “anemico raggio di luna” sembra una presenza vagamenteterminale’, umbratile: “Sono lì / dove finisce il rigo / nel punto in cui / il discorso si conclude”.

Rispetto alla cifra discorsiva, qualche volta giocosa e spesso felicemente autoironica, che attraversa i testi dialettali, e che rimane forse la sua timbrica più peculiare e più matura, la poesia in lingua di Flora Restivo recupera una cantabilità ‘classica’ e meno impervia, pur mantenendo una predilezione per i versi brevi e per il frammento che rivelano una chiara ascendenza di tipo ermetizzante. Un componimento come Noi indica in questo senso al lettore, se non un vero e proprio modello, almeno una netta aderenza alla lezione di un poeta amatissimo dall’autrice come Giuseppe Ungaretti: “Tabernacoli di violenza / proterve parvenze / immergiamo / i nostri coltelli infetti / nelle sue ferite… // Noi / Rami spezzati / Foglie marce / Germogli abortiti / Noi… // Fratelli?”.

Francesco Vinci

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