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Il Gramsci dissipato di Francesco Virga

Dopo una fortunata prima edizione, Eredità dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia di Francesco Virga (Diogene Multimedia, pp.340, euro 28) viene ripubblicato in una edizione riveduta e ampliata, che ancora una volta riesce perfettamente a coniugare il rigore scientifico dell’impianto saggistico, con tanto di citazioni e apparato critico, e una larga godibilità di lettura: una chiarezza di linea espositiva che Virga mutua anche dal mestiere di insegnante e dalla lunga attività di blogger militante. O magari è in qualche modo una di quelle eredità gramsciane evocate nel titolo e messe a frutto nel taglio argomentativo e nel tono della scrittura. Non amo molto, in genere, usare il termine divulgazione, ma sicuramente il libro è anche un ausilio prezioso per approcciarsi a queste tre figure o approfondirle, oltre i luoghi comuni, le vulgate e le nozioni scolastiche. Le tre parti che compongono questa raccolta di saggi si possono infatti agevolmente leggere come dei corposi contributi critici a sé stanti sulle figure di Gramsci, Pasolini e Sciascia, anche se nel volume confluiscono anche degli scritti occasionali – in gran parte pubblicati previamente su varie testate e riviste – in cui lo spettro d’indagine si allarga su aspetti meno battuti dei tre autori. Penso per esempio al capitolo dedicato a Pasolini e Bach, che prende le mosse da uno studio recente di Claudia Calabrese sul rapporto tra Pasolini e la musica.

Come tanti testimoni e lettori eccellenti hanno attestato nel corso delle due edizioni (in appendice a questa nuova edizione troviamo una galleria di note critiche, firmate tra gli altri da Gaspare Polizzi e da Nicolò Messina), Eredità dissipate si colloca come punto di incrocio tra critica e esegesi letteraria, analisi politica e storia della cultura italiana nel secondo ‘900. Un lavoro di ricerca annoso e di lungo respiro in cui Franco Virga si mette sulle tracce della ricezione di Antonio Gramsci nelle opere di Pasolini e Sciascia, scandaglia e collega testi, documenti, testimonianze con una perizia filologica e una passione militante davvero esemplari.

Di Pasolini si rileva in primo luogo che la sua interpretazione del marxismo è assimilabile a quella di Gramsci, in quanto metodo e strumento per comprendere i fatti storicamente determinati, e non sistema fisso e pura dottrina dogmatica, soprattutto nel Pasolini interventista e collaboratore del settimanale comunista “Vie Nuove” (mentre si tralascia volutamente il Pasolini tormentato delle Ceneri di Gramsci, diventato quasi un luogo comune critico). Di Sciascia si ricorda invece la lunga e intensa attivista pubblicistica sulle pagine de “L’Ora” di Palermo che – come scrive Virga – sono di “inconfondibile impronta gramsciana, persino nello stile graffiante della sua scrittura”.

Come l’autore stesso esplicita, sia nell’introduzione che nella nota conclusiva, la tesi di fondo, e se non una vera e propria tesi, una preoccupazione che anima le pagine di questo libro è che la grande lezione di questi tre giganti del secolo scorso venga dissipata (appunto), dimenticata o rimossa: un po’ per la loro sostanziale inclassificabilità e il loro percorso eretico, ma soprattutto per la crisi della cultura e del pensiero critico nell’epoca dell’opinionismo estemporaneo dei talk e delle approssimazioni social.

Rispetto a questa ‘dissipazione’, alla fine, sta accadendo forse qualcosa di molto peggio nell’accostarci alle figure di Gramsci, Pasolini e Sciascia (così come a tanti altri classici che vengono più citati che letti per davvero): la loro riduzione a pura icona social per cui di ogni grande autore conosciamo ormai soltanto qualche fugace citazione, a volte persino errata o manipolata, spesso esibita come un feticcio o uno slogan. Di conseguenza, del buon Gramsci sappiamo poco o nulla, ma ci basta sapere e reiterare col copia e incolla che odiava gli indifferenti e che ogni giorno per lui era capodanno. Mentre Pasolini è quello che sapeva ma non aveva le prove, quello dell’inflazionatissima supplica alle madri e l’imbalsamato autore di “T’insegneranno a splendere, e tu splendi invece”. E il povero Sciascia, naturalmente, quello dei professionisti dell’antimafia (un titolo giornalistico, come ormai dovrebbero sapere pure gli sciasciani sprovveduti, attribuitogli come una delle sue frasi memorali): uno Sciascia sempre à la page, buono per tutte le occasioni di polemica e tutti i sicilianismi.

Francesco Vinci

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Tags: Antonio GramsciFrancesco VirgaLeonardo SciasciaPierpaolo Pasolini