Storia di Marsala: la figura di Giovanni Nuccio, i giurati e il rifiuto del cocchiere

redazione

Storia di Marsala: la figura di Giovanni Nuccio, i giurati e il rifiuto del cocchiere

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martedì 17 Settembre 2024 - 13:37

Antonino Sammartano rivive la storia di Marsala attraverso le documentazioni storiche, ricostruendo le cronache del ‘700 e la figura di Giovanni Nuccio:

La mattina dell’8 Settembre del 1759 si trovavano radunati nella Casa Giuratoria di Marsala i Giurati (Vincenzo Regina, Vincenzo Palma Alagna e Antonio Gigli ), il Prefetto D. Giuseppe Genna, il Capitano di Giustizia Barone Vincenzo Palma, perché dovevano recarsi alla Cappella per celebrare la festività della nascita della SS.ma Vergine. Essi si dovevano raggiungere il luogo stabilito con tre carrozze. Secondo la tradizione, nella prima e nella seconda dovevano salire i suddetti personaggi, mentre nella terza, che era di proprietà di D. Giovanni Nuccio, dovevano salire i Mazzieri vestiti in alta uniforme con Toga e Mazza. Ma non si sa perché il cocchiere si rifiutò di farli salire. A questo punto scese uno dei giurati e il Prefetto Giuseppe Genna per convincere il cocchiere a far salire i Mazzieri e a non far ritardare la funzione religiosa. Ma poiché il cocchiere continuava a rifiutarsi, il Prefetto chiamò un ufficiale della Corte per farlo arrestare. In quel momento intervenne D. Giovanni Nuccio, il quale si trovava poco distante di quel luogo, e con prepotenza strappò il cocchiere dalle mani dell’ufficiale che lo stava arrestando. Poi si rivolse contro il Prefetto, prima con parole vergognose e ingiuriose, e poi, senza dar tempo a questi di reagire, con il bastone che aveva nelle mani lo colpì alla testa e gli strappò la parrucca dal capo. A quell’inaspettata reazione, il Genna tirò fuori la spada, “ma per l’offesa grave della bastonata non potendo reggersi in piede cascò a terra senza poter far altro; E quest’occorso fù alla presenza di tutto il corpo del Magistrato, che era col Genna Prefetto in forma Giuratoria, che vale a dire in atto d’esercitar funzioni, con stupore d’un intiero publico”.

A questo punto scese dalla Carrozza il Capitano di Giustizia e ordinò a D. Giuseppe Genna e a D. Giovanni Nuccio di restare “carcerati in casa” (arresti domiciliari) e  impose loro, inoltre, una penalità di 700 onze. Il primo accettò il provvedimento del Capitano, mentre il secondo si rifugiò nel Convento dei PP. Cappuccini fuori della Città. Lo stesso giorno 8 settembre i Giurati di Marsala (Vincenzo Regina, Vincenzo Palma Alagna e Antonio Giglio) scrissero una supplica al Vicerè per informarlo dell’accaduto e per implorarlo di dare un esemplare castigo al Nuccio. I Giurati nella supplica mettevano in risalto la natura rissosa e prepotente del Nuccio, capace di creare continui contrasti con chiunque. Se egli infatti aveva avuto l’animosità di aggredire un nobile suo uguale, fino a che punto sarebbe arrivata la sua audacia in altre circostanze? Non era comunque la prima volta che D. Giovanni Nuccio minacciava quelli che lui considerava suoi nemici. Poco tempo prima nella Casa Giuratoria aveva offeso e maltrattato il Cavaliere D. Lacaso  Lacara. L’anno precedente egli con un’animosità senza esempio si recò in casa di un altro Cavaliere marsalese, e davanti alla moglie che aveva partorito da poco lo sfidò ad uscire perché voleva bastonarlo. Anche il padre D. Mario Nuccio non era uno stinco di santo. Nel 1731 ricopriva la carica di Giurato: Ma egli si dimostrò talmente insultante e poco adatto a svolgere quell’incarico che il Vicerè di allora lo dichiarò interdetto a svolgere il ruolo di amministratore pubblico.

Non erano passati 15 anni da quella data che ne combinò un’altra. Questa volta a Palermo, dove era stato obbligato dal Capitano di Giustizia di Marsala a presentarsi davanti al Presidente del Regno Loredano. Ma al cospetto di Costui lo insultò malamente. Questi non appena uscì dal suo ufficio lo fece arrestare pubblicamente nel Cassaro e lo rinchiuse nel carcere della Vicaria. Quindi il suo castigo doveva servire da esempio per se stesso e per gli altri. Il Nuccio , inoltre, andava punito perché aveva fatto scappare il cocchiere. ( RSI vol. 2018). Il 29 ottobre il Vicerè chiedeva all’Uditore Generale D. Girolamo Caracausi un parere sulle due “Rappresentanze” inviate una da D. Giovanni Nuccio che implorava la libertà della carcerazione nel Castello di Termine perché si trovava in cattive condizioni di salute, e di ordinare a due Cavalieri di Marsala “per trovar la maniera più propria per far riunire l’animi di esso Ricorrente e del Prefetto Genna”. L’altra dei Giurati in cui manifestavano l’ardire del Cocchiere del Nuccio che animosamente passeggiava armato in Città e nelle campagne; e pregavano il Vicerè di ordinare “al Capitano di Giustizia di Marsala d’intimare penalmente a D. Mario Nuccio di consegnare il cocchiere, per fargli sentire la pena disposta dal Tribunale della Gran Corte”.

In merito alla prima Rappresentanza, l’Uditore Generale si dichiarava pienamente d’accordo alla pace tra Nuccio e Genna, e credeva come mezzo più “efficace era l’eligersi due Cavalieri del Paese, uno da Genna e l’altro da D. Mario Nuccio a nome di D. Giovanni suo figlio”.  Non era favorevole però a concedere la liberazione di D. Giovanni Nuccio perché i giorni trascorsi in carcere non erano “corrispondenti al delitto, come anco per rendersi più aggevole la proposta di pace”. In merito alla istanza dei Giurati, l’Uditore proponeva d’intimare a D. Mario Nuccio di costringere il cocchiere a consegnarsi alla Corte Capitanale di Marsala, altrimenti doveva consegnarsi lui entro 3 giorni al Castello di Pantelleria e pagare una penalità di onze 400 al Regio Fisco.

In seguito a questo parere, l’8 dicembre venivano comunicati al Vicerè i nomi dei due pacieri, e cioè D. Ignazio Marziano e D. Michele Sala, rispettivamente nominati da D. Giuseppe Genna e D. Mario Nuccio per suo figlio D. Giovanni. Secondo i due pacieri, D. Giovanni Nuccio, in presenza del Capitano e di altri Cavalieri, il Genna doveva accettare il perdono, e poi doveva seguire un abbraccio fra i due. Intanto l’Uditore suggeriva al Vicerè di liberare il Nuccio “coll’espressa condizione di portarsi direttamente alla sua Patria col suo cocchiero, ed ivi restare lui carcerato in casa, ed il cocchiero nel publico carcere di quella città, sino che da quel Capitano li fosse designato il giorno per eseguirsi il convenuto, non essendo proprio, che prima godesse di sua piena libertà in faccia dell’offeso ancor  non soddisfatto”. Nel  ‘700 la giustizia ancora non era uguale per tutti: il Nuccio agli arresti domiciliari, mentre il cocchiere prigioniero in carcere.

RSI  vol.2019

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