Lo avevamo scritto tre anni e mezzo fa, quando l’inchiesta “Sorella sanità” portò all’arresto del direttore generale dell’Asp di Trapani Fabio Damiani e torniamo a scriverlo oggi, all’indomani dell’operazione “Aspide”: la sensazione è sempre quella di trovarsi di fronte alla punta di un iceberg, alla parte visibile di un sistema di malcostume e illegalità profondamente radicato. Quanto emerge dalle informazioni diffuse in queste ore disegna uno spaccato desolante della gestione del potere in Sicilia (e non solo di quello politico) e di una terra che – come in un celebre brano di Francesco De Gregori – continua a confondere “la ricchezza con il rumore e il diritto con il favore”.
Leggere di un dirigente navigato come Gioacchino Oddo che per aiutare una donna ad ottenere il rinnovo della patente la sottopone a pressioni continue per ottenerne in cambio prestazioni sessuali, racconta tanto della logica della sopraffazione e del clientelismo che ancora albergano nella nostra società. Da un lato c’è chi, per avere una corsia preferenziale, continua a cercare il conoscente, l’amico e il parente. Dall’altro c’è chi, approfittando del proprio ruolo, si presenta come un soggetto onnipotente, permettendosi di esercitare pressioni che travalicano ampiamente “la disciplina e l’onore” a cui ogni dipendente pubblico dovrebbe attenersi.
Che poi, viene spontaneo chiedersi se la logica della sopraffazione non si estenda anche ad altri aspetti, che magari dalle indagini giudiziarie non emergono ma che hanno molto a che fare con l’attività quotidiana negli ospedali. Le liste d’attesa seguono sempre criteri cronologici e di reale necessità o sono condizionate da amicizie, conoscenze o scambi di reciproche utilità? E le ferie o i turni del personale vengono programmati senza favoritismi o in base alla devozione che si riceve da propri sottoposti? I dirigenti, i primari e i rappresentanti sindacali fanno presente a chi gestisce le risorse economiche che in certi reparti mancano persino garze e siringhe o preferiscono non stressare quelli che percepiscono come propri superiori e a cui (probabilmente) devono qualcosa? Le prestazioni sanitarie vengono concepite con l’obiettivo di rendere il miglior servizio possibile ai pazienti o per soddisfare altre logiche?
Fin qui, ad ogni modo, dobbiamo accontentarci dei fatti che ci vengono raccontati dall’operazione “Aspide”: a seconda delle preferenze, c’è chi si aspetta prestazioni sessuali, chi gioielli o aragoste, ma nel complesso cambia poco… Per una parte consistente della classe dirigente l’ambizione di raggiungere ruoli apicali serve a soddisfare soltanto la propria sete di potere, che si traduce nel desiderio di vedersi riconoscere dagli altri un ruolo, con l’obiettivo di ricevere quotidiani attestati di sottomissione e deferenza. Sono quelli per cui il vecchio motto “comandare è meglio che fottere” non è mai passato di moda. Ma se riescono a fare entrambe le cose, si sentono anche più contenti.
Coloro che, invece, avrebbero le qualità umane e professionali per ricoprire ruoli apicali con l’ambizione di migliorare il sistema vengono visti come soggetti pericolosi, da tenere a debita distanza. Un po’ come quei giovani di talento, che vengono indotti ad esportare i propri sogni e i propri valori in altre regioni, per evitare che rimangano (o tornino) a disturbare i professionisti del comando. La chiave dei problemi della Sicilia, se ci pensiamo bene, è tutta qui.