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Processo Cutrara, la ricerca dello scanner per l’attività di bonifica delle microspie

Nel corso dell’udienza è stata inoltre trattata nuovamente la questione dei rapporti tra Francesco Domingo e soggetti italoamericani appartenenti alla famiglia mafiosa. L’avvocato Aurelio Cacciapalle, difensore di Felice Buccellato, ha chiesto invece al collegio dei giudici la pronuncia a non procedere nei confronti del suo assistito perché non sarebbe in grado di partecipare al processo.

Si è svolto lunedì mattina, presso il Palazzo di giustizia di Trapani, il processo, scaturito dall’operazione antimafia del marzo 2020 Cutrara, a carico di Francesco Domingo, ritenuto attuale reggente di Castellammare del Golfo, e altri 5 soggetti.

Nel corso dell’udienza l’avvocato Aurelio Cacciapalle, difensore di Felice Buccellato, ha chiesto al collegio dei giudici, presieduto dal dottore Enzo Agate e a latere i dottori Edoardo Bandiera ed Enrico Restivo, la pronuncia a non procedere nei confronti del suo assistito perché non sarebbe in grado di partecipare al processo. Infatti, nell’ambito di un altro procedimento sarebbe stata disposta una perizia psichiatrica, da cui sarebbe emersa una severa alterazione di intendere e di volere del Buccellato. Detta infermità sarebbe inoltre progressiva e irreversibile. Pertanto, il suo legale ha chiesto di accogliere l’istanza senza disporre un’ulteriore perizia e di ordinare la revoca della misura cautelare. Il tribunale ha acquisito la documentazione presentata dalla difesa. Si esprimerà dopo aver appreso il parere del pubblico ministero, la dottoressa Francesca Dessì della DDA di Palermo.

Successivamente, nell’Aula Bunker, è stato sentito il maresciallo Pasquale Alessandro del RIS di Messina, il quale ha effettuato gli esami balistici sui due fucili a doppietta rivenuti dalla polizia giudiziaria all’interno della proprietà di contrada Gagliardetta di Francesco Domingo. Il teste, esaminato dall’avvocato Giuseppina Cataldo, difensore di Domingo, ha spiegato che dall’analisi svolta sulle armi non è emersa alcuna compatibilità, a livello nazionale, con pregressi eventi delittuosi. I due fucili sono stati trovati smontati; una volta terminato il montaggio sono risultati funzionanti ed efficaci. Il maresciallo Alessandro, nello specifico, ha chiarito che in una delle due armi la batteria di sinistra è esplosa. Ha sparato solo quella di destra. Successivamente, dal sostituto procuratore, è stato ascoltato il maggiore dei carabinieri, Gennaro Cascone, attualmente in servizio a Trapani. L’ufficiale si è occupato dell’indagini nei confronti di Domingo e di altri soggetti dal settembre del 2019 a marzo del 2020. In particolare, è stato sentito sull’attività di bonifica, mediante scanner, nella casa rurale del reggente di Castellammare del Golfo. Nella vicenda sarebbe coinvolto il coimputato Salvatore Labita, dal 2008 proprietario di una ditta di installazione di impianti elettrici. Quest’ultimo è accusato, per l’appunto, di aver fornito al Domingo la strumentazione necessaria per rinvenire le microspie all’interno della sua abitazione. Le intercettazioni effettuate dai carabinieri, dunque, avrebbero svelato che a partire dal febbraio del 2019 vi sarebbero stati dei contatti telefonici e degli incontri tra il Labita e il Domingo per trovare la summenzionata strumentazione. Il 26 febbraio del 2019, Salvatore Labita si sarebbe recato in contrada Gagliardetta. Durante la conversazione, il Domingo avrebbe comunicato al suo interlocutore di voler fare svolgere tale attività di ricerca al figlio Vito. Il primo marzo, il capomafia avrebbe ricevuto la visita di Vito Di Benedetto, un soggetto a lui vicino. Alcuni dei suoi animali erano, infatti, custoditi presso la stalla del capomafia di Castellammare. Il Di Benedetto avrebbe dunque raggiunto la casa del Domingo a bordo di un furgone della ditta “I sapori” di Castellammare del Golfo. Il reggente gli avrebbe riferito di aver rinvenuto una microspia e di averla tolta, ma di averla lasciata sul posto. Nel mese di marzo e, nello specifico, fino a giorno 19 dello stesso mese, si sarebbe susseguita una serie di telefonate e incontri che avrebbe coinvolto Domingo, Antonino Rosario Di Stefano, Antonino Cusenza (soprannominato nelle interlocuzioni “il cugino”) e Salvatore Labita aventi ad oggetto la ricerca dello scanner necessario ad individuare le suddette microspie. Nell’ambito di queste conversazioni, secondo l’ipotesi accusatoria, il citato strumento sarebbe stato menzionato con diversi epiteti al fine di evitare che potesse essere scoperto il fine di tale ricerca: giravite, plumcake, punta. Durante una conversazione con il Labita, Francesco Domingo avrebbe poi utilizzato termini come “scannigghiare” ( scannerizzare ndr) e “scannigghiasti?” (hai scannerizzato? ndr), emblematici del fatto che, per gli investigatori, i soggetti coinvolti nella vicenda siano stati in possesso di uno o più scanner da utilizzare nelle operazioni di bonifica.

In seguito, è stata affrontata la questione dei legami del capomafia di Castellammare con alcuni soggetti italoamericani e provenienti dalla provincia di Agrigento. Più precisamente la tesi accusatoria sostiene che Francesco Domingo fosse il trait d’union con la famiglia mafiosa dell’area di Sciacca. Già in una precedente udienza è stato esaminato l’ufficiale Luigi Carluccio della guardia di finanza che nella citata città ha condotto l’operazione Passepartout. Nell’ambito delle indagini sul boss Accursio Dimino sarebbero stati registrati gli interessi per l’organizzazione di incontri tra il medesimo e il reggente di Castellammare del Golfo per il tramite di Sergio Gucciardi, soggetto italoamericano originario di Sciacca. Dunque, sarebbe stata captata dagli investigatori una prima conversazione tra il Gucciardi e Stefano Turriciano (italoamericano e originario di Castellammare). Quest’ultimo sarebbe stato anche fermato in aeroporto con il fratello di Sal Montagna (ucciso in Canada nel 2011). Turriciano avrebbe poi passato al telefono Nino Mistretta. Nel corso del dialogo con Gucciardi sarebbe stato comunicato che bisognava svolgere l’incontro di giorno. Francesco Domingo, infatti, non poteva muoversi liberamente dalla propria abitazione dopo la sua scarcerazione, avvenuta nel 2015, perché sottoposto all’obbligo di soggiorno: dopo le 21.00 non poteva uscire. Sergio Gucciardi e Accursio Dimino, quindi, si sarebbero recati presso il bar Flower di Castellammare del Golfo, di Diego Ruggeri, per incontrarsi con Stefano Turriciano e Stefano Padovano. Avrebbe, inoltre, partecipato anche Nino Mistretta. Successivamente, le fiamme gialle avrebbero chiesto il supporto dell’Arma dei carabinieri di Trapani per monitorare l’incontro del 28 agosto 2018. Quel giorno, ha raccontato il maggiore Cascone, sarebbe stato notato l’arrivo di Sergio Gucciardi presso il bar Flower. Dopo, sarebbe transitata nei pressi del locale l’auto con a bordo Michele e Francesco Domingo. Il Gucciardi, dunque, si sarebbe avvicinato all’autovettura e dopo essere salito a bordo, i tre soggetti si sarebbero recati prima in contrada Bocca della Carrubba e poi presso contrada Gagliardetta. Infine, Sergio Gucciardi sarebbe ritornato al bar Flower accompagnato da Michele Domingo. Dimino e Gucciardi nel 2018 avrebbero cercato di mettere in atto delle attività economiche negli Stati Uniti, ma non avrebbero concluso alcun affare. Secondo l’ipotesi accusatoria, quindi, avrebbero cercato un contatto con Francesco Domingo per incanalare meglio il loro business. Il 12 gennaio dello stesso anno, invece, il capomafia castellammarese avrebbe incontrato RosarioPadovano, altro soggetto italoamericano, nonché zio di VitoDi Benedetto, il quale avrebbe ricevuto dei dollari da Francesco Domingo. Durante l’applicazione della misure di prevenzione della sorveglianza speciale, ha precisato l’ufficiale dei carabinieri rispondendo alla domanda del pubblico ministero, avrebbe incontrato dei soggetti appartenenti all’associazione mafiosa. Dopo la scarcerazione di Domingo, avvenuta nel 2015, veniva ridotta la misura di prevenzione a quattro anni dai cinque iniziali. Non avrebbe potuto pertanto frequentare soggetti riconducibili a Cosa nostra. Dal 2019 al 2020, invece, sarebbero stati registrati dalla polizia giudiziaria 11 incontri con soggetti diversi, tra cui anche quattro destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Cutrara. Nello specifico, avrebbe incontrato: Daniele La Sala, Calogero Valenti, Antonino Sabella, Camillo Domingo, Sebastiano Stabile, Nicolò Bonventre, Sebastiano Di Benedetto, padre di Vito, Sergio Gucciardi e Mistretta Antonino.

Infine, è stata trattato l’episodio relativo ad una vertenza sindacale, concernente Pietro (figlio) e Giuseppe (padre) Di Bona. Il 16 novembre del 2019 sarebbe stata intercettata una conversazione tra Nicola Di Bartolo (imputato nel processo in corso) e John Saccheri, il quale avrebbe informato il primo di avere avuto dei problemi, culminati in una vertenza per l’appunto, con un dipendente, Pietro Di Bona, per non avergli corrisposto due mensilità (2500 euro). Quindi, avrebbe richiesto l’intervento del Di Bartolo tra le due parti. Il 18 dicembre Nicola Di Bartolo avrebbe contattato Giuseppe Di Bona per chiedergli di incontrarsi al bar Tropical. Che della questione fosse stato investito Francesco Domingo, se ne sarebbe venuti a conoscenza il giorno successivo. Il capomafia castellammarese avrebbe poi contattato Nicola Di Bartolo per chiedergli se avesse sentito il Di Bona. Nel corso della conversazione si sarebbero poi accordati per vedersi. Una volta insieme avrebbero chiamato Giuseppe Di Bona per incontrarsi al bar Millennium. Il 21 dicembre, Francesco Domingo avrebbe chiamato nuovamente il Di Bartolo, proponendogli di passare a prenderlo per cercare “a quello”, ossia il Di Bona (padre). Pertanto, Nicola Di Bartolo avrebbe contattato Giuseppe Di Bona per darsi appuntamento al bar Tropical. Sul posto si sarebbe recato insieme al Domingo. Infatti, in una telefonata alla nipote le avrebbe detto che “Franco” le mandava i saluti. Successivamente, Nicola Di Bartolo avrebbe contattato il Saccheri per sapere se si fosse recato dal commercialista che si occupava della pratica in questione. Il 23 dicembre, durante un dialogo captato, i Di Bona si sarebbero lamentati del fatto che non fosse stato rispettato l’accordo con l’amico, Nicola Di Bartolo, relativamente al numero degli assegni emessi da John Saccheri, ovvero quattro, dal momento che sarebbe stata raggiunta l’intesa per due. Il teste ha riferito, poi, che sarebbe stato sempre Nicola Di Bartolo ad accordare le richieste dei Di Bona.

Successivamente, si è svolto il controesame della difesa. Ha iniziato l’avvocato Calogera Falco, legale di Salvatore Labita. L’avvocato ha chiesto all’ufficiale dei carabinieri delucidazioni in merito ad una telefonata tra Francesco Domingo e il commissariato della polizia di Stato di Castellammare. Il maggiore Gennaro Cascone ha precisato che l’intercettazione in questione è stata effettuata prima del suo arrivo a Trapani. Il sostituto procuratore, Francesca Dessì, ha pertanto annunciato che la prossima udienza produrrà la trascrizione della conversazione summenzionata. L’avvocato Falco quindi ha chiesto all’ufficiale dei carabinieri se Domingo avesse segnalato di avere avuto problemi con la microspia al personale della polizia di Stato. Il teste ha riferito che gli investigatori, in quella fase dell’indagine, sarebbero stati all’oscuro di quanto detto a voce e, quindi, in presenza dal Domingo al Commissariato. Dopo il legale sulla triangolazione costituita tra Domingo, Di Stefano e Cusenza nell’attività di ricerca dello scanner, ha domandato quando il reggente di Castellammare sarebbe entrato in possesso dello strumento. Il maggiore Cascone ha spiegato che gli scanner in questione potevano essere due o più. Sicuramente, ha affermato, ne sarebbe entrato in possesso il 19 marzo, ma gli investigatori non escludono che il 6 marzo del 2019 Di Stefano gli abbia potuto portare uno degli scanner. In seguito, al quesito se Vito Domingo avesse un proprio scanner e se avesse aiutato il padre nella ricerca delle microspie, il teste ha raccontato che questi in precedenza avrebbe effettuato delle ricerche sia nell’abitazione in centro che in quella di contrada Gagliardetta. Anche l’altro difensore di Salvatore Labita, Ernesto Giuseppe Leone ha posto un quesito all’ufficiale dei carabinieri. Precisamente, ricordando che il suo assistito è imputato perché avrebbe aiutato Francesco Domingo a trovare lo scanner, ha domandato quando e dove è stato sequestrato il corpo del reato. Il maggiore Gennaro Cascone ha chiarito che non vi è stato alcun sequestro di scanner, ma che durante la sua deposizione ha fatto riferimento a quanto ricostruito dalle intercettazioni. L’avvocato Alessandro Pergolizzi, difensore di Lilla e Nicola Di Bartolo,invece, relativamente alla vicenda della vertenza dei Di Bona ha chiesto chi ha pronunciato la frase “senti a me io ho persone che lo possono consumare quando vogliono”. Il teste ha risposto Giuseppe Di Bona. Infine, è intervenuta l’avvocato Giuseppina Cataldo, legale di Francesco Domingo. Riguardo a delle delucidazioni chieste sulle microspie presenti nella casa di contrada Gagliardetta, l’ufficiale ha spiegato che sarebbero state installate due ambientali, all’interno e all’esterno della casa, e due telecamere. Prima del suo arrivo sarebbe stata presente anche una microspia nella stalla, poi rinvenuta e staccata dallo stesso Domingo, così come quella all’interno dell’abitazione. Inoltre, ha precisato di non essere stato a conoscenza di altre problematiche idriche riportate dal capomafia di Castellammare in una conversazione con Antonino Di Stefano. Al maggiore Cascone, inoltre, non risulterebbe che Antonino Cusenza, con il quale Domingo interloquiva per il tramite di Vito Di Benedetto, avesse eseguito lavori all’interno della casa rurale. Inoltre, l’ufficiale ha ribadito che per quanto riguarda l’attività di bonifica delle microspie del figlio di Domingo, già nel dicembre del 2016 questi avrebbe esperito per conto del padre detta ricerca attraverso uno scanner procuratogli dal Di Stefano. In merito poi ai rapporti di Domingo con le famiglie mafiose americane, il teste, rispondendo alle domande del legale, ha riferito che le indagini avrebbero ricostruito i mancati business da parte dei soggetti appartenenti alla famiglia mafiosa di Sciacca. Rispetto invece agli appuntamenti con Padovano, il teste ha ricordato che Francesco Domingo lo avrebbe incontrato anche al bar Flower e spiegato che lo stesso avrebbe affermato di avere ricevuto 2500 dollari dal reggente. La moglie di Domingo, inoltre, nel corso di una conversazione del 9 giugno del 2019, gli avrebbe chiesto il quantum che avrebbe dato al Padovano, ma senza precisare a che titolo. Gli avrebbe risposto la stessa cifra.

La prossima udienza si terrà il 23 maggio.

Linda Ferrara

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Tags: Operazione Cutrara