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Processo Cutrara, i contatti con gli esponenti mafiosi di Sciacca

Nel corso della precedente udienza si è svolto il controesame del maggiore Del Sole da parte delle difese.

Riprenderà domani mattina il processo Cutrara nato dall’inchiesta antimafia del 2020, in cui è imputato, insieme ad altri soggetti, Francesco Domingo, considerato dall’accusa ancora il reggente della cosca mafiosa di Castellammare del Golfo.

Davanti al collegio dei giudici, presieduto dal dottore Enzo Agate e a latere i dottori Edoardo Bandiera ed Enrico Restivo, nel corso della precedente udienza sono stati ascoltati due testi della Procura, rappresentata dalla dottoressa Francesca Dessì, sostituto procuratore della Dda di Palermo. Innanzitutto, è stato effettuato l’esame del maggiore Luigi Carluccio del GICO (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) della guardia di finanza del capoluogo siciliano. Nello specifico, l’ufficiale delle fiamme gialle ha condotto l’attività d’indagine, delegatagli dalla Direzione Distrettuale Antimafia palermitana, nel periodo compreso tra febbraio 2017 e novembre 2019, avente ad oggetto alcuni soggetti residenti a New York e tornati a Sciacca (città nella quale il teste prestava allora servizio) e vicino al boss Accursio Dimino. Investigando, dunque, su tali personaggi sarebbero emersi nel luglio del 2018 i primi contatti tra Sergio Gucciardi, “battezzato” proprio da Dimino, ed alcuni esponenti di Castellammare del Golfo, in primis quelli con Stefano Turriciano. Quest’ultimo, in una conversazione telefonica con il Gucciardi, per l’appunto, gli avrebbe passato tale “Nino”, poi identificato in Antonino Mistretta, considerato vicino alla consorteria americana. Il Mistretta gli avrebbe chiesto di accompagnare a Castellammare un picciotto, ovvero Accursio Dimino, per un incontro al bar Flower della città. All’appuntamento avrebbe partecipato anche Rosario Padovano, cognato di Vito Di Benedetto. Nell’agosto dello stesso anno, il Turriciano si sarebbe incontrato anche con il fratello di Salvatore Montagna, originario di Alcamo e ucciso in Canada, presso l’aeroporto di Punta Raisi. Sempre nell’estate del 2018 vi sarebbe stato poi un altro incontro, presso la medesima attività, tra Sergio Gucciardi e Francesco e Michele Domingo. Il pubblico ministero ha chiesto inoltre al teste di specificare quali altri contatti il Gucciardi avesse avuto con esponenti di Sciacca. Il maggiore Carluccio ha menzionato pertanto Domenico Maniscalco e Leonardo Zinna. Dopo la morte di Frank Calì, appartenente alla famiglia Gambino, considerato il mediatore tra Cosa nostra statunitense e quella siciliana, ha spiegato il teste, gli sciacchitani avrebbero ritenuto che vi fosse una faida interna ai Gambino e, dunque, tra i castellammaresi. E proprio verso quelli appartenenti all’ala di Francesco Domingo si sarebbe avvicinato Sergio Gucciardi.

Successivamente si è svolto il controesame, da parte delle difese, dell’ufficiale dei carabinieri che ha condotto le indagini: il maggiore Giuseppe Del Sole. Il teste è stato escusso dall’avvocato Calogera Falco, che difende nel processo Salvatore Labita. Secondo l’accusa avrebbe aiutato Francesco Domingo ad eludere le investigazioni dell’autorità giudiziaria, fornendogli uno strumento in grado di rilevare delle microspie necessarie alla captazione di conversazioni tra lo stesso Domingo e altri associati mafiosi. In particolare, il legale ha chiesto al teste se, relativamente alla conversazione tra il reggente di Castellammare e il figlio Vito, i due fossero a conoscenza di essere intercettati. L’ufficiale dell’Arma dei carabinieri ha spiegato che i Domingo avrebbero avuto contezza di essere ascoltati dalla polizia giudiziaria. In quell’occasione, Francesco Domingo, occorre precisare, avrebbe chiesto al figlio di procurarsi il dispositivo da un altro soggetto, Rosario Antonio Di Stefano. La microspia sarebbe stata collocata all’interno del quadro elettrico del soggiorno-cucina della casa rurale in contrada Gagliardetta. Dopo, l’avvocato Aurelio Cacciapalle, legale di Felice Buccellato, ha domandato al maggiore Del Sole in che modo sono state accertate dagli investigatori le parentele tra il suo assistito e il boss Cola Buccellato e tra Domingo e gli Evola, in quanto alla difesa non risulterebbe da ricerca sull’albero genealogico detti legami. Il teste ha spiegato che dalla polizia giudiziaria sono stati fatti, oltre a degli accertamenti anagrafici, acquisizioni di altri procedimenti e per conoscenza storica dei suoi collaboratori grazie ad attività d’indagine svolte negli anni ’80 e ’90. Altro argomento affrontato nel corso del controesame è stato quello relativo all’intervento di Francesco Domingo in seguito ad un danneggiamento subito dal Buccellato. Dalle conversazioni intercettate tra l’agosto e il settembre del 2016, tra i due soggetti citati, si sarebbe appresa la richiesta di intervento al capomafia castellammarese, da parte di Felice Buccellato, dopo il danneggiamento subito da dei vigneti in suoi terreni ma concessi ad uso di Antonino Neglia. Nel corso di suddetto colloquio, Buccellato avrebbe riferito al Domingo di essere stato raggiunto nei pressi dei detti terreni da Salvatore Mercadante (figlio del defunto boss Michele). Sia dall’avvocato Cacciapalle che dal collega Gabriele Lombardo è stata contro esaminata la questione relativa ai rapporti con la famiglia mafiosa di Carini. Per l’accusa, Felice Buccellato avrebbe rappresentato il contatto con uno degli esponenti della stessa, Salvatore Ferranti, per conto della cosca di Castellammare. Sostanzialmente, nel corso di una conversazione intercettata del maggio 2016, tra il Buccellato e il Domingo, il primo avrebbe dato disponibilità di una propria abitazione in contrada Grotticelli per ospitare alcuni soggetti di Carini. Sarebbe stato accertato dagli investigatori che Felice Buccellato sarebbe stato proprietario di due unità abitative, di cui una disabitata, e di un magazzino. Durante un dialogo del luglio 2016, sempre tra i due, si sarebbe paventata infatti l’impossibilità di organizzare una mangiata in contrada Gagliardetta perché avrebbero potuto arrestare tutti. Il maggiore Del Sole ha poi spiegato che il Buccellato è ritenuto il soggetto che avrebbe veicolato le informazioni al Domingo su situazioni riguardanti la famiglia di Carini, come lo stato di salute dell’ex reggente Gallina, e la disponibilità di questa ad organizzare degli incontri, anche se poi non sarebbero avvenuti (a parte quello documentato dagli investigatori a Carini tra Buccellato, Antonino Puma e alcuni soggetti non identificati presso un’abitazione in cui il Ferranti avrebbe fatto da palo). Infine, il teste è stato sentito dall’avvocato di Francesco Domingo, Giuseppina Cataldo. Nello specifico, è stata approfondita la questione della detenzione delle armi in contrada Gagliardetta per conto della famiglia mafiosa. Durante una conversazione con Sebastiano Stabile, quest’ultimo avrebbe affermato “Perché c’erano…una fascedda piena di…ci sono magari qualche decina di mitraglie, io li canziai (messe da parte ndr) ”. Francesco Domingo gli avrebbe risposto “E allora..può essere che…”. Il suo interlocutore avrebbe detto “E cartucce! Però ferro non mi firai di truvarlo (non sono riuscito a trovarlo ndr). L’avvocato Cataldo nel chiedere al teste se conoscesse il gergo siciliano “mitraglie”, ha poi aggiunto che il significato del termine citato sarebbe quello di “cartucce”.

Poi sono stati approfonditi i presunti incontri tra l’imprenditore Nino Cusenza e Francesco Domingo. Il primo sarebbe stato avvicinato per un tentativo di estorsione da parte di Gaspare Maurizio Mulè nei confronti di una ditta di Agrigento, la Osti, presso la quale era stato assunto Vito Domingo, il figlio di Francesco. Secondo l’accusa, dunque, il Mulè si sarebbe rivolto al Cusenza, dopo avere ottenuto il diniego da parte del Domingo, per ottenere un contatto con l’impresa e perché considerato dallo stesso vicino al reggente castellammarese. Gli investigatori, infatti, avrebbero ipotizzato che il Cusenza fosse il titolare di fatto dell’impresa. Dopo è stata trattata la vicenda relativa all’estorsione in danno di Francesco Cacciatore, gestore della cantina Santa Maria, effettuata dal boss di Castellammare in concorso con Benedetto Sottile. Quest’ultimo, avrebbe vantato un credito di 80 mila euro dal Cacciatore, in merito alla fornitura di uva e pertanto avrebbe chiesto l’intervento del Domingo. La polizia giudiziaria avrebbe appreso dalle parole del reggente che lui stesso si sarebbe recato presso la cantina in questione, ma, comunque, non avrebbe mai ricevuto neanche l’anticipo di 10mila euro. Successivamente, è stato domandato all’ufficiale di riferire in merito alla questione del rinvenimento della microspia, da parte di Francesco Domingo, all’interno della stalla, nei pressi della sua abitazione rurale, e nel quadro elettrico della cucina della casa. Per quanto riguarda il primo rinvenimento, è stato precisato che una volta trovata la microspia, nel corso di un’attività di pulizia degli spazi, il Domingo se ne sarebbe disfatto gettandola in un cassonetto della raccolta rifiuti. Dal legale poi sono stati chiesti dei chiarimenti sui tre presunti incontri tra Francesco Domingo e Francesco Virga (figlio del boss trapanese Vincenzo) nei pressi di contrada Pocoroba. Il maggiore Del Sole ha precisato che detti summit sono stati documentati anche in altri procedimenti penali. In particolare, è stato ricordato dal teste il sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria a cavallo di tali appuntamenti fissati nel mese di maggio del 2017. Durante uno di questi, si sarebbero trovati faccia a faccia con Sebastiano Stabile. Per non insospettire quest’ultimo, non essendo gente del luogo, gli investigatori avrebbero preso come scusa quella di trovarsi sul posto per controllare il percorso di una gara di biciclette.

Linda Ferrara

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