Nel bel mezzo di una pandemia che continua a seminare morte e disagio economico-sociale e dell’ennesima crisi internazionale tra Russia e Ucraina, la politica italiana sta dando, per l’ennesima volta, il peggio di sé. Come se la fine del mandato di Sergio Mattarella fosse arrivata all’improvviso, e non dopo la regolare conclusione del suo settennato, i partiti e i movimenti presenti in Parlamento stanno dando vita a uno spettacolo indecoroso, che conferma l’incapacità dei nostri rappresentanti di accantonare gli interessi di parte per perseguire quelli generali.
L’istantanea che si sta delineando in questi giorni, però, non appare agli occhi dei più attenti osservatori come un fulmine a ciel sereno, ma come l’ultima immagine di una progressiva deriva. E’ come se i nostri politici fossero ancora fermi al 2013, quando un Parlamento privo di una maggioranza chiara, figlio di una legge elettorale controversa, bruciò ogni ipotesi di candidatura possibile (dalle più improbabili alle più autorevoli) per finire in ginocchio da Giorgio Napolitano, chiedendo all’87enne presidente uscente di restare al Quirinale. Fu in quei giorni che si manifestò con più evidenza l’inizio di una profonda crisi delle istituzioni democratiche italiane, che si è trascinata anche nel settennato di Mattarella, tra leader bizzosi, governi fragili e maggioranze eterogenee.
In un contesto del genere, ulteriormente aggravato dalla pandemia, logica e buon senso avrebbero consigliato un accordo preliminare per giungere all’elezione di un presidente della Repubblica autorevole e adeguato alle esigenze del tempo che viviamo. Preso atto dell’indisponibilità di Mattarella, ci si aspettava che i partiti convergessero sulla disponibilità di Mario Draghi, tenendo conto del favore internazionale che godrebbe la sua figura. O che, comunque, si individuasse per tempo un altro nome di alto profilo umano e morale, magari meno tecnico e più politico. I candidati di queste ore, invece, rappresentano le seconde e terze file del fronte politico attuale: rassicuranti per i partiti, ma evanescenti agli occhi dell’opinione pubblica.
Non è da escludere che si finisca per eleggere proprio l’ex governatore della Bce, sancendone il trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma è inaccettabile che il dibattito di queste ore non sia incentrato sullo spessore del prossimo Capo dello Stato, ma sulle garanzie che dovrebbe dare alla politica in ordine allo scioglimento delle Camere o alla designazione del prossimo governo.
Non è accettabile che in piena pandemia si tenga in ostaggio un Paese perchè ci sono le poltrone (e le indennità) da tutelare, nel nome di un mandato popolare sventolato a proprio uso e consumo, ma in realtà frutto di una legge elettorale che lega la rappresentanza parlamentare più alle segreterie dei partiti che alla volontà dei cittadini.
Evidentemente, il voto ai partiti anti-sistema e l’esplosione dell’astensionismo non hanno insegnato nulla ai nostri politici in ordine alla disistima che la maggioranza dei cittadini nutre nei loro riguardi. Forse non lo hanno capito. O, magari, semplicemente non interessa.