È iniziato il countdown per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. La prima convocazione del Parlamento in seduta comune è stata fissata per il 24 gennaio prossimo. L’auspicio è che la più alta carica dello Stato possa finalmente tingersi di rosa.
Più che una speranza, dovrebbe essere un imperativo categorico: il volto di una donna come prossimo Capo dello Stato. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica italiana. Diverse sono le ragioni che dovrebbero condurre ad una scelta in tal senso. Innanzitutto, il Bel Paese deve dimostrarsi finalmente pronto ad aprire le porte del potere, in questo caso quelle del Quirinale, al mondo femminile. Occorre farlo, in particolar modo, in un contesto storico come questo, per lanciare un chiaro segnale di unità nazionale verso un fenomeno che sta tratteggiando negativamente la nostra società: il femminicidio. Sono state 116 le vittime nel 2021, sei in più rispetto all’anno precedente. A coloro, poi, che vorrebbero declinare la questione ad un mero problema di secondo piano, invitiamo a riporre nel cassetto la retorica del “valuteremo”. Perché un’indicazione in tale direzione è già stata confermata dall’assenza di dibattito politico attorno all’appello lanciato da tante intellettuali italiane, tra cui la scrittrice Dacia Maraini, e dal movimento femminista “Se no ora quando”. Un silenzio che dimostra fortemente come l’argomento sia trattato in maniera superficiale dalle forze politiche della Penisola. Sembra quasi che in Italia sia difficile trovare una rosa di nomi che possa soddisfare il requisito, lanciato di recente dal presidente della Camera, Roberto Fico, per rivestire la carica di Presidente della Repubblica: l’alto profilo morale.
Ci si chiede, intanto, perché i nomi di donne per l’elezione del Capo dello Stato non possano essere quasi accennati, come se si avesse paura perfino a farne qualcuno. La sensazione è quella di potere addirittura offendere qualcuno nel provare a considerarne uno. Si dovrà, dunque, chiedere perdono, ad esempio da parte di chi sta pigiando le lettere della tastiera, a Maria Falcone, Rosy Bindi, Maria Luisa Busi, Maria Grazia Mazzola e Barbara Spinelli, per avere pensato, senza riflettere troppo, ad ognuna di loro? Davanti a questi grandi nomi, di sicuro, nessuno potrà reclamare di provare imbarazzo nell’auspicio di potere un giorno essere rappresentati come Nazione. Semmai, si dovrebbero porgere loro delle scuse perché la nostra patria, forse, non è mai stata all’altezza di supportarle o di elogiarle nel corso del proprio servizio per il Paese.
Ci si domanda quali paletti potrebbe mai mettere chi si trovasse nella situazione di ricevere tali nominativi. Magari saranno gli 85 anni della professoressa di diritto, Maria Falcone, nonché sorella del magistrato Giovanni ucciso dalla mafia nel ’92, a impaurire i rappresentanti del nostro Parlamento? Sono gli stessi di Silvio Berlusconi, il cui nome è stato proposto dalla coalizione di centro-destra e ritenuto, però, irricevibile dal M5S e dalla sinistra. La recente iscrizione del suo nome nelle indagini sulle stragi del ’93 non poteva certamente passare inosservata a quelle forze politiche mostratesi sensibili, si spera seriamente, al tema della lotta alla mafia. A trent’anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, dunque, non sarebbe opportuno onorare la memoria dei giudici Falcone e Borsellino menzionando una persona che, dopo il caro prezzo pagato dal proprio familiare nella lotta contro la criminalità organizzata, si è impegnata a diffondere tra le giovani generazioni il messaggio di legalità? Sarebbe, infatti, davvero deprecabile affidare il ricordo di un evento così grave della storia d’Italia soltanto alla coniazione di alcune monete.
A chi non vuole discostarsi dal circuito politico, potrebbe trovare in Rosy Bindi, ex presidente della commissione antimafia, impegnata a far luce sulle infiltrazioni di mafiosi e ‘ndranghetisti nelle logge massoniche del territorio italiano, una candidata al Colle. Si vuole ricordare in queste righe la sua frase “Non sono una donna a sua disposizione” rivolta proprio al fondatore di Forza Italia nel 2009, e diventata famosa per la richiesta di rispetto verso il mondo colorato di rosa.
Sarà un caso, ma l’ex premier Berlusconi è stato sfiorato da altre vicende dove protagoniste sono state sempre le donne. L’evento è quello avvenuto nel 2010, sotto il governo dell’ex cavaliere: l’abbandono di Maria Luisa Busi dal tg1, a seguito dell’allontanamento di alcuni colleghi da parte del direttore Augusto Minzolini (poi parlamentare berlusconiano), e a causa della linea editoriale del tg ritenuta dalla giornalista troppo di parte. La Busi è stata vincitrice, tra gli altri, anche del Premio Borsellino nel ’94 per l’informazione contro la mafia.
Un altro nome degno di ricoprire una carica dall’alto valore morale è poi quello di un’altra giornalista, Maria Grazia Mazzola, la quale, nel corso della sua carriera, ha firmato importanti inchieste sulle stragi di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Porta i segni sul proprio corpo di un’aggressione mafiosa: la moglie di un boss pugliese gli ha procurato una frattura alla mandibola sinistra. Nel 2021 è arrivata la condanna per l’esecutrice del vile gesto.
Infine, una personalità che è la sintesi del giornalismo e della politica: l’eurodeputata Barbara Spinelli, figlia di Altiero considerato il pioniere del federalismo europeo. Con lei al Quirinale, si rimarcherebbe che l’Italia, oltre a dichiararsi ancora antifascista, continua il suo sogno di un’Europa unita, ma più politica che tecnocratica, più solidale che prevalentemente economica.
Se, pertanto, non è stato difficile trovare dei modelli femminili degni, a parer di chi scrive, di rappresentare la nostra nazione, non dovrebbe esserlo nemmeno per i partiti politici dei due rami del Parlamento italiano. Ci si augura, però, che in questa partita, nonostante le logiche di potere e gli intrighi di palazzo per trovare un accordo, prevalga per una volta una punta rosa.