Che fine ha fatto la libertà?

redazione

Che fine ha fatto la libertà?

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lunedì 10 Gennaio 2022 - 10:06

Una 23enne, ex studente del Liceo Pascasino di Marsala, Anamaria Georgiana Ben Mohamed, ha scritto una profonda riflessione sul periodo che stiamo vivendo, con la pandemia da Coronavirus, parlando soprattutto dell’aspetto sociale e psicologico che l’emergenza sanitaria ha causato in particolar modo nei giovani, ma non solo.

“Caro lettore/lettrice,

oggi voglio parlarti di un argomento attuale che mi sta molto a cuore.

Accendendo la tv, non si parla d’altro: covid19 è il centro dell’universo. Si parla di nuove restrizioni, incremento dei casi positivi, nuove regole da seguire, bonus per qualsiasi cosa, tranne per la salute mentale. In poche parole, un’infinità di energie negative spalmate qua e là, pronte ad essere assorbite da chi guarda tutto ciò. Si parla tanto di questa “normalità” a cui dovevamo tornare già da un po’ ma che sembra lontana anni luce.

Avevamo tutti dei piani, indubbiamente. Siamo stati costretti a rimandarli, e nonostante le mille promesse, continuiamo ad aspettare. Cerchiamo di convincerci che ne usciremo presto e torneremo a vivere come abbiamo sempre fatto.

Ma, caro lettore, ti ricordi quando non si vedeva l’ora che arrivassero le feste per poter passare il giorno di Natale con i parenti, le tavolate infinite, gli incontri con gli amici, gli abbracci, i sorrisi della gente per strada? O quando baciarsi era la cosa più normale del mondo per salutarsi? Oppure quando si poteva pianificare un viaggio in base alle proprie vacanze/ferie, disponibilità economica? Quando l’unico problema era il tempo che non si aveva? Si andava sempre di corsa, si rimandava a domani tutto. Ti ricordi quando si poteva andare ai concerti, cantare a squarciagola, piangere, condividere un’emozione forte con persone che neanche si conosceva? Quando il caffè era una scusa per vedersi, quando non esistevano zone a colori e restrizioni?

Che le discriminazioni c’erano, ma provavamo a cambiare le cose: dicevamo basta al razzismo, al femminicidio, alla differenza tra nord e sud, alle diversità sul lavoro tra uomo e donna, volevamo la parità dei sessi, dicevamo basta alle etichette sulle persone, combattevamo per i cambiamenti climatici.

No, non sto parlando di vaccinazione, anche se oggi noto che la frustrazione del popolo è uscita fuori dai bordi, la gente ha bisogno di tornare alla “normalità” e pur di scaricare queste energie negative, ha bisogno d’incolpare qualcuno per poter dare un senso a tutto. Viviamo da quasi due anni in questa situazione, chi se la ricorda più la normalità?

Non sono una scienziata, non sono una virologa, non sono un politico. Sono una cittadina e da tale, come tutti, avrei i miei diritti. Posso capire restrizioni nel pieno dell’emergenza: ma un’emergenza quanto dura? So benissimo che “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” (Martin Luther King), ma non vedo perché non avere rispetto di chi prende una decisione diversa dalla mia.

La vita è fatta di scelte e sacrifici, ognuno sceglie per sé. Trovo assurdo togliere delle attività e dei servizi per il popolo, che dovevano rimanere accessibili come è stato, più o meno, fino ad oggi. Avrei capito se le restrizioni odierne si fossero prese quando iniziò l’emergenza, ma non oggi, a distanza di due anni.

Confrontandomi con i miei coetanei, mi son resa conto che quello che ci accumuna tutti è la speranza di un domani migliore, anche se in realtà siamo, chi più chi meno, pessimisti. C’è chi l’ha presa superficialmente, chi ha sviluppato una “fobia” nel vedere tante persone vicine, chi sostiene la scienza ad occhi chiusi e chi pensa ci sia molto altro sotto. C’è chi aveva tutto chiaro e chi viveva giorno per giorno: chi era pronto per un anno all’estero, chi sognava l’aurora boreale e purtroppo continua a sognarla, chi ha dovuto rinunciare ad offerte lavorative all’estero, chi è stato costretto a fare qualcosa contro la sua volontà solo per poter continuare a lavorare. Cosa ci sta lasciando questa pandemia? Sicuramente delusione, angoscia, tristezza, confusione, rabbia.

Molti di noi non hanno idea di cosa fare domani perché le restrizioni potrebbero cambiare, nuovi decreti potrebbero modificare nuovamente il nostro modo di vivere, le nostre abitudini, i nostri piani. Dovevano essere gli anni più belli della nostra vita, quelli delle pazzie, da raccontare ai nostri figli. Dovevano essere gli anni dell’esperienza all’estero, del cambiamento, del ritrovamento di se stessi, del trovare la propria strada, dell’inseguire il proprio obiettivo, del riscatto. Per altri dovevano essere gli anni del liceo, creare un proprio pensiero e non della didattica a distanza, ma anche gli anni delle uscite, delle feste, delle prime relazioni, del socializzare.

Il mio è un invito alla riflessione. Non voglio che il mio sfogo rimanga tale. Vorrei che iniziassimo a esprimerci di più, a non rimanere indifferente a questa situazione e non accettare tutto ciò che troviamo ingiusto. A riprenderci il diritto alla vita, al lavoro, a viaggiare e le nostre libertà perse.

Qualcuno riesce ancora ad avere un suo pensiero, una sua opinione e difenderla ad ogni costo? Ricordi quando gli unici limiti che avevi, erano quelli imposti dalla tua testa, dalla paura di non farcela? Quando non si puntava il dito verso chi aveva un’opinione diversa, perché si sa, il mondo è bello perché vario.

Cantavamo a squarciagola “se tifi un’altra squadra sei lo stesso mio fratello”. Cosa ci rende meno fratelli oggi?“.

Georgi, blogger di “Georgi in the World

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