La Corte di Appello di Palermo ha condannato i fratelli alcamesi Roberto e Vito Nicastri (difesi dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Sebastiano Dara) rispettivamente a 2 anni e 8 mesi e a 4 anni e 2 mesi di carcere. In primo grado avevano avuto 9 anni ciascuno, ma in appello è caduta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e ha retto quella di intestazione fittizia. In seguito alla riformulazione della condanna, la Corte ha disposto l’immediata scarcerazione dei due fratelli.
Questo l’esito del processo di secondo grado, che ruotava intorno alla figura dell’imprenditore, fin qui considerato dai giudici “prestanome di Matteo Messina Denaro”.
Nel 2013 la sezione Misure di
Prevenzione del Tribunale di Trapani aveva disposto nei confronti del
“re dell’eolico” una maxi confisca di beni per un milione e
trecento mila euro, riferibili a 43 società e 98 beni immobili.
Tre
anni fa Vito Nicastri ha avviato una collaborazione con i magistrati
palermitani, a cui ha rivelato episodi di corruzione di funzionari
pubblici. Nel corso di tali rivelazioni, ha chiamato in causa anche
il socio occulto Paolo Arata, ex consigliere per l’energia del
leader leghista Matteo Salvini, a sua volta vicino all’ex
sottosegretario Armando Siri. Al contempo, Nicastri ha continuato a
negare di aver avuto rapporti con la mafia trapanese.
La Corte d’Appello ha inoltre assolto l’agronomo Melchiorre Leone (condannato in primo grado a 9 anni e 4 mesi), mentre sale fino a 12 anni la pena per Girolamo Scandariato. Condannato a 9 anni Giuseppe Bellitti (era imputato per mafia e in primo grado era stato assolto). Assoluzioni confermate per Vincenzo, Maurizio e Antonino Asaro (imputati di favoreggiamento).