Un messaggio accorato, caratterizzato da una forte tensione spirituale. Quest’anno, nell’imminenza delle festività natalizie, il Vescovo della Diocesi di Mazara Domenico Mogavero si sofferma sul senso delle giornate la comunità si appresta a vivere, facendo i conti con le inevitabili restrizioni previste per contenere il contagio da Coronavirus. Di seguito, il testo completo e il video registrato per l’occasione.
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I pochi giorni che ormai ci separano dal Natale e quelli che ne prolungano il clima sono segnati in questo scorcio del 2020 da una sensazione di diffuso malessere. D’improvviso ci ritroviamo privi di quella atmosfera che negli anni passati ci regalava serenità, pace e gioia, talora alquanto infantile, che partendo dai più piccoli contagiava anche i più duri e i più scettici. Erano giorni nei quali si riassaporava il bello dello stare insieme in casa con i propri cari, piccoli e adulti e anche anziani, accomunati dal calore di relazioni semplici e perciò gratificanti. Per la verità il Natale non era e non è questa generica esperienza di benessere fisico, assai precario peraltro. Ma a tanti bastava per colorare di tinte meno grigie la propria quotidianità, anche attraverso l’immersione in «quella frenesia di fare tante cose», mentre «l’importante è Gesù. il consumismo […] ci ha sequestrato il Natale. Il consumismo non è nella mangiatoia di Betlemme: lì c’è la realtà, la povertà, l’amore» (Francesco, Angelus di domenica 20 dicembre). Tanti, non moltissimi per la verità, si concedevano il gusto di entrare in chiesa per ritrovare nella messa della notte echi di memorie infantili o adolescenziali, mai del tutto svanite. Alcuni, poi, rispettavano un appuntamento annuale che era il residuo di una esperienza religiosa ridotta al minimo sindacale.
Sorge, a questo punto, la domanda:
per caso la pandemia ha fatto sparire il gusto del tempo natalizio?
Se si guarda agli aspetti goderecci, sicuramente le rigide
disposizioni che ci chiuderanno in casa metteranno in crisi quanti
davano al Natale una valenza prevalentemente evasiva. Se, invece, si
guarda con un po’ di attenzione contemplante a quanto accadde a
Betlemme quella notte (era poi proprio notte?), allora, probabilmente
questo Natale, che molti definiscono strano, acquisterà una sua
originalità: quella di ritrovare veramente il Festeggiato. Infatti,
il colmo è che queste feste di tutto si sono date pensiero tranne
che di colui che il Natale, – la vogliamo dire così? – l’ha
inventato! Supereremo così la stucchevole diatriba sull’orario
delle messe della notte e saremo meno intransigenti sul numero di
coloro che celebreranno l’Eucaristia della sera o del giorno. In
fondo, a Betlemme quella volta c’erano pochi pastori e tanta
indifferenza attorno e quindi il neonato Gesù non si dispiacerà più
di tanto se quest’anno saremo solo un po’ più numerosi di quelli
che lo festeggiarono alla nascita.
Se poi vogliamo dare un senso
all’attesa e riempirla di sentimenti davvero umani (ansia,
pazienza, sconforto, condivisione partecipe, talora anche rabbia)
guardiamo alla esperienza lunga, snervante, incredibile di quanti
(madri e mogli, in particolare) hanno dovuto penare 108 interminabili
giorni prima di poter apprendere la notizia della liberazione dei
marittimi loro congiunti dalla terribile e ingiusta prigionia in
Libia. La maggior parte dei protagonisti di questa dolorosissima
vicenda ha dato a questo evento liberatorio il senso di un anticipato
regalo di Natale, a loro concesso dal buon Dio, incessantemente
pregato con fede e lacrime. E se la gioia di tutti è stata
incontenibile lo si deve proprio alla sofferenza tremenda sofferta.
Un ulteriore spunto di riflessione lo ha dato Papa Francesco nel Messaggio per la 54a Giornata mondiale della Pace che del 1° gennaio, titolato significativamente La cultura della cura come percorso di pace, «Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente». E se vogliamo liberare il Natale da ogni stereotipo consumistico o vagamente devozionale, allora dobbiamo riconoscere che il mistero dell’incarnazione offre il modello e la misura della cura che Dio si è preso della nostra umanità malandata, insegnandoci che Natale è tenerezza, condivisione, prendersi cura; il resto è parola vuota di senso e di contenuto.