Per il settore culturale è un momento difficile, per questo bisogna dare voce e spazio agli artisti. E quando il talento è a casa nostra, come nel caso della regista e attrice marsalese Luana Rondinelli, è un dovere lasciarle la scena.
Una lunga gavetta dal teatro di Michele Perriera, alla scuola diretta da Enzo Garinei. Come è nata la tua fascinazione per il teatro.
La consapevolezza dell’amore per il teatro è esplosa a 15 anni quando con la scuola siamo andati a vedere lo spettacolo “Il berretto a Sonagli” di Pirandello. Mi sono detta “E’ quello che stavo cercando”. E’ stato un percorso che non dimentico, prima entrando a far parte della compagnia “Amici di Totò” di Nino Scardino e poi con la compagnia “Teatro Nuovo” del compianto Enrico Russo, una gavetta che mi ha fatto crescere. L’arrivo a Marsala del mio Maestro Michele Perriera ha acceso quel fuoco che ancora oggi mi fa credere nel teatro e nelle mie potenzialità. A Roma altra esperienza di crescita alla scuola di Garinei e Giovannini. Un’altra figura importante è la mia insegnante di recitazione Corinna Lo Castro con cui ho avuto l’onore di dividere il palco in “Penelope – l’odissea è fimmina” e ci ritroveremo nel nuovo progetto “Didone Pop”, tratto dal libro di Beatrice Monroy.
Come è nata in te l’esigenza di donare delle storie che sanno di Sicilia?
Non avevo mai pensato di scrivere in dialetto, eppure è stato come aprire un cassetto di ricordi. Quanta passione esprime la nostra lingua e quanta musicalità c’è in certe parole, è stato un far pace con la mia terra. Quando sono partita per Roma lasciavo Marsala con tanta nostalgia e insicurezza, un bagaglio troppo pesante ed è qui la verità: io la mia terra non l’ho mai lasciata, l’ho portata con me fino a renderla immortale con i miei testi, fagocitare ogni grido, dolore, folklore, amore, immagine, bellezza.
Da “Taddrarite” a “Giacominazza” e “Penelope – L’Odissea è fimmina”, racconti il mondo delle donne con una drammatica liricità ma anche con una scrittura spiazzante e con temi attuali…
Un teatro sociale che vuole farsi ascoltare, che non vuole passare inosservato, che parli al cuore della gente senza velleità, meno prosopopeico, che abbia l’obbligo morale di lanciare un messaggio e scuotere le coscienze, con ironia. Quando ho scritto il mio primo testo teatrale, Taddrarite, che parla di violenza domestica, mi si è aperto un mondo fatto di sofferenza, di silenzi che ho voluto “ascoltare” da vicino. Da qui sono nate le collaborazioni con i centri antiviolenza di Marsala, con l’associazione Palma Vitae di Castelvetrano e altre realtà. Nel 2019 Taddrarite era uno degli spettacoli portati in scena a Roma per il 25 novembre, sostenuto dalla Regione Lazio. Dobbiamo ripartire dai ragazzi, dobbiamo educarli al bello, ad una visione teatrale che sia coinvolgente e capace di far riflettere.
Hai tenuto lo scorso anno l’incontro “Apparole”, su Hate Speech, l’incitamento all’odio e sulla necessità di una “rivoluzione gentile”. Oggi da cosa (ri)partire?
Ripartiamo dalla gentilezza, ci sono continue lotte a chi è il migliore e gare a denigrare. Nell’incontro tenuto a Livorno grazie agli amici di ”Orto degli ananassi” al Teatro della Brigata ho conosciuto persone capaci di usare la loro immaginazione per la scrittura, usare come una tavolozza i colori delle loro esperienze emotive e metterle a disposizione degli altri. Abbiamo bisogno di immedesimarci nell’altro, le battaglie si vincono se l’obiettivo è comune.
Il comparto è in ginocchio con la chiusura dei luoghi di cultura a causa del Covid. Come vedi il teatro locale del domani? Quali azioni sbagliate sono state fatte e quali dovranno essere compiute?
Questa pandemia non ha fatto altro che accentuare le falle del settore, non ci sono indennizzi e leggi specifiche a tutela. Tante piccole realtà teatrali non apriranno più, mi rammarico nel vederli chiusi e a volte la pandemia non c’entra. Ricordo il giorno delle prove di “Penelope…”, la sera parlò il Presidente Conte, la mia compagnia era radunata a Marsala per il debutto, fu come sprofondare. In questo territorio nessuno fa niente per sovvertire le cose. Le polemiche sono state troppe. Ho letto persone lamentarsi di una gestione errata della programmazione dei nostri teatri, persone che non ci vanno nemmeno a teatro. Bisogna fare rete, avere il coraggio di investire. Marsala ha talenti sparsi per l’Italia e luoghi magnifici da sfruttare. Di idee ce ne sono tante.
C’è ad oggi una realtà culturale che guardi con attenzione in Italia e in questo territorio?
Amo guardare alle realtà con cui ho lavorato, come il Teatro “L’Idea” di Sambuca di Sicilia, rinato grazie alla sua direttrice; a Roma il mio cuore è legato al Teatro Argot che produce Taddrarite; a Catania con il Teatro Stabile sono nate delle collaborazioni; con l’associazione Carmentalia portiamo avanti il progetto di “White Machine” sull’incendio nella fabbrica tessile di New York nel 1911; con Accura Teatro faccio parte di “Latitudini”, rete che raggruppa associazioni, teatri e festival siciliani attivi nel campo della drammaturgia contemporanea. A Marsala in estate grazie a Gregorio Caimi e al MAC abbiamo portato in scena “Sciara prima c’agghiorna” per la rassegna “a’ Scurata”. Sia il MAC che Professione Musica sono realtà che hanno avuto il coraggio di unirsi per portare avanti dei progetti. Ci vuole più coraggio a restare che a partire.
Che messaggio vuoi lanciare ai giovani che vogliono approcciarsi alle arti?
Il teatro è in seria crisi, è già moribondo da un po’, ma ha anche la capacità di rinascere come l’araba fenice, perché il pubblico non può farne a meno. Bisogna investire. Ad un attore consiglio umiltà, passione e follia, senza follia non c’è creatività e un attore deve distinguersi. Auguro a chi ha talento di farsi spazio in un ambiente in cui molto spesso il talento arriva dopo. Consiglio di non arrendersi neanche quando tutto sembra finire, di reinventarsi e scommettere sulle proprie capacità e per farlo bisogna studiare.