E’ dunque giunto il momento del silenzio e della riflessione. Va in archivio una campagna elettorale anomale, fortemente influenzata nel suo svolgimento dalle limitazioni legate alle misure anti-Covid. Comunque vada, sarà difficile dimenticarla.
Così come sarà difficile dimenticare la vergogna di queste ore nel vedere il nome di Marsala tra le cronache dei tg e delle testate nazionali, a proposito della violenza bestiale consumata da tre giovani lilibetani contro alcuni immigrati africani. Storie che ben conoscevamo e avevamo raccontato nei mesi scorsi, lanciando un allarme sul clima sempre più violento e inquietante che si registra in città nel week-end. Al di là delle rappresentazioni che ne stanno dando i media nazionali, Marsala non è una città razzista. Basti pensare alle pagine dedicate nei mesi scorsi dal Corriere della Sera o Repubblica alla straordinaria esperienza di incontro e integrazione della Libera Orchestra Popolare. Tuttavia, Marsala è anche una città in cui esistono sacche di pensiero reazionario e di rabbia sociale che hanno dato vita a un’escalation di episodi inquietanti: le svastiche e le croci celtiche disegnate nelle strade o nelle piazze, le vergognose scritte inneggianti a Luca Traini o all’omicidio dell’afroamericano George Floyd e, soprattutto, le aggressioni e i pestaggi consumati nei confronti di giovani ragazzi africani. Così, mentre ci affrettiamo a dire che Marsala è storia, arte, cultura e tradizione, appare doveroso interrogarsi su come si possa essere arrivati a questo punto. E la riflessione dovrebbe coinvolgere tutti: istituzioni politiche e religiose, sindacati, famiglie, associazioni, scuole, giornali.
Anni e anni di progetti contro la droga o il bullismo evidentemente non hanno prodotto i risultati sperati se alcuni figli di questa città si recano nei negozi d’armi ad acquistare tirapugni o altri strumenti d’offesa da utilizzare al momento opportuno. Non sono state sufficienti le azioni di sensibilizzazione all’accoglienza, le Giornate della Memoria, i cineforum con “La vita è bella”, “Schindler’s list”, “Il pianista” se nel fine settimana orde di giovani imbottiti di cocaina, spice o Black Mamba vanno a scatenare il loro furore per le vie del centro sui primi mal capitati che incontrano, sciorinando un repertorio ottuso di insulti razziali che sembra preso dagli anni Quaranta del secolo scorso.
Così, al di là delle indagini e degli arresti, c’è un lavoro profondo che va fatto per bonificare il tessuto sociale di una città che nel Dna ha (o dovrebbe avere) la cultura dell’incontro, la mescolanza tra culture diverse. Questo lavoro tocca a tutti, ma soprattutto a chi si candida ad amministrare il Comune nei prossimi cinque anni.
Chiunque vinca lunedì, dovrà farsi carico anche di questo, creando le condizioni per una comunità pienamente inclusiva in cui ognuno potrà sentirsi libero di vivere la sua vita senza paura, senza distinzione di etnia, sesso, religione, lingua, orientamento politico o condizione sociale. Che poi significherebbe applicare l’articolo 3 della nostra Costituzione.