Negli ultimi anni mi è capitato spesso di leggere commenti di autorevoli e colti opinionisti che vorrebbero abolire il suffragio universale. Il principio è che il voto di una persona laureata e competente non può avere lo stesso valore di quello di una persona che ha interrotto gli studi. Perchè diversa è la preparazione e diversa la consapevolezza. Di conseguenza, si ritiene che i governi e le amministrazioni elette spesso (soprattutto quando non ci piacciono) producano politiche fallimentari perchè non verrebbero votate dai cittadini che ragionano con la testa, ma da quelli che ragionano con la pancia. I suddetti autorevoli e colti opinionisti dimenticano spesso che in passato funzionava esattamente così: il diritto di voto era condizionato al censo e al tasso di alfabetizzazione e la masse popolari non avevano alcuna rappresentanza. Chi conosce un po’ di storia sa bene che in quel tempo le cose non funzionavano affatto meglio: si parlava ugualmente di mal governo, di corruzione, di collusioni tra politica e malavita, di diseguaglianze economiche e sociali. Nessuna età dell’oro da rimpiangere, dunque. Fu il processo di emancipazione della masse popolari a rendere necessario l’allargamento della platea elettorale che si tradusse nell’adozione del suffragio universale in Italia solo nel 1946, con grave ritardo rispetto ad altri Paesi. Da allora, uomini e donne che abbiano conseguito la maggiore età sono stati liberi di votare per chi credevano, senza distinzione di classe, di sesso o di titolo di studi. E per quanto alcuni partiti e movimenti politici possano essere lontani anni luce dai nostri valori, occorre rispettare chi li sceglie. Purchè, naturalmente, la loro proposta programmatica si muova all’interno dei principi costituzionali. E’ chiaro che, nel tempo, l’evoluzione del costume e il modello culturale incentrato sul consumismo ha portato a un radicale mutamento del vecchio concetto di classe sociale e, al contempo, componenti della società potenzialmente rivoluzionarie si sono trasformate in architravi reazionarie della conservazione. A riguardo, Pier Paolo Pasolini aveva scritto parole profetiche, purtroppo inascoltate, già a partire dagli anni ’60. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la frattura tra centro e periferia, tra Nord e Sud, è diventata nel tempo sempre più ampia sia in Italia che all’estero. Di fatto, ci sono pezzi delle nostre comunità che vivono nello stesso tempo e nello stesso territorio senza nemmeno parlarsi. Diventa quindi difficile riconoscersi e comprendersi. Così, quegli autorevoli e colti opinionisti che prima abbiamo citato e che hanno avuto una certa influenza sulla classe dirigente del nostro Paese (soprattutto nel centrosinistra) dovrebbero capire che la soluzione ai problemi non sta nell’invocare un nostalgico ritorno al passato, quando a votare erano solo le élite. Serve, piuttosto, il confronto tra diversi. Come quando viaggiamo e sentiamo di essere cresciuti interiormente dopo aver conosciuto luoghi, usi e tradizioni di altri Paesi. Peccato che la stessa apertura mentale non riusciamo a dimostrarla verso il vicino di casa che la pensa diversamente da noi.
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